Eboli: “House of One” a Berlino? A Santa Cecilia fu progettata già anni fa

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un nostro approfondimento in merito alla “The House of One” (che trovate cliccando qui), in costruzione a Berlino, un luogo di culto dove ebrei, cristiani e musulmani si potranno ritrovare per pregare tutti insieme.

Ebbene, questa visione di unione tra varie religioni non è un’assoluta novità, anzi, oltre 10 anni fa un architetto di Eboli aveva già iniziato a progettare un simile edificio che potesse contenere questa utenza multi-religiosa e il suo nome era Fabrizio Mirabella.

*Da ora fino alla fine dell’articolo potrete notare tutti i disegni del progetto di Fabrizio.
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Ho scritto ‘era’ volutamente, perchè purtroppo l’architetto ebolitano è venuto a mancare prematuramente nell’agosto del 2006 all’età di soli 31 anni, proprio quando  era nel pieno della sua vita e dei suoi progetti.

In questi giorni ho avuto la fortuna di poter conoscere e parlare con sua madre, Clara D’Amato, che oltre ad essersi dimostrata una donna fuori dal comune per tenacia e per la forza con cui ha affrontato il tragico epilogo di suo figlio, mi ha dimostrato la voglia che ha di voler mostrare al mondo le idee e i progetti di suo figlio, che considerarlo un ‘pozzo di idee’ è alquanto riduttivo stando a tutto ciò che ci ha raccontato la madre sulla figura creativa e dalla grande apertura mentale che era Fabrizio.

LA SUA STORIA – Fabrizio, cresciuto con formazione francescana, si mostrò sin da piccolo avvezzo a questo tipo di tema. Sin da piccolo nei suoi quaderni, come ci ricorda sua madre, si cimentava in disegni, scritti o qualsiasi cosa riguardasse la pace e la fratellanza tra gli uomini. Una passione innata potremmo dire, che lo ha portato ad esaminare come oggetto della sua tesi di laurea in architettura proprio il tema dell’unità religiosa, lasciando tra lo scetticismo totale i suoi stessi professori.

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Fabrizio, col tempo, per accrescere la sua fame di fratellanza e di multi-culturalità si recò sia in Israele sia in Africa, realtà che lo portarono a conoscere meglio mondi a noi sconosciuti, se non tramite i media. Proprio durante un suo viaggio a Gerusalemme, Fabrizio si imbatte in un luogo di culto senza segni chiamato dai locali ‘Dumia’, termine che nella lingua araba vuol dire ‘mondo, terra’. Qui si poteva pregare senza alcuna limitazione chi si voleva e spesso vi si recavano donne con i loro bambini.

Stando a ciò che ci dice la madre, spesso Fabrizio rimaneva impressionato dalla semplicità delle persone di posti che dai noi vengono giudicati brutti o pericolosi per vari motivi e il che ci porta a respingere la multi-culturalità, quando invece basterebbe conoscere meglio un ‘estraneo’ una persona di un’altra ‘razza’ e capire che sono carne ed ossa come noi e che la multi-razzialità ci può solo far crescere come individui.

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Fabrizio, non cercava gloria con questo suo progetto, anche perchè era difficile che qualcuno accettasse una cosa del genere in un mondo che ancora oggi sembra non essere pronto, figuriamoci 10 anni fa. Ebbe due contatti per questo progetto: uno con il comune di Milano dove ci fu una richiesta per poter analizzare il suo progetto, cosa che poi non portò a nulla di concreto e l’altro con il comune di Napoli. Qui, presentò il suo progetto durante un convegno e fu istituita per lui una mostra dei suoi disegni nell’Hinterland napoletano, ma tutto rimase su carta, niente e nessuno decise di mettere in pratica queste idee.

Dal suo blog, “In Africa con Fabrizio”, possiamo trovare dei suoi stessi scritti che ci raccontano il suo pensiero. La progettazione di luoghi per il culto ha da sempre affascinato quanti si sono cimentati con questo tema, soprattutto perché si tratta di progettare un ’unica sala dai profondi contenuti simbolici e spaziali. Questo studio si apre alla luce di quello che è il percorso delle religioni di farsi portavoce verso l’’umanità di valori condivisi di fratellanza, solidarietà e convivialità. Lo studio di Fabrizio, cerca un filo conduttore tra le religioni attraverso le loro rappresentazioni architettoniche, mettendo in evidenza come questi siano luoghi di incontro tra l’’estremamente grande e l’’infinitamente piccolo.

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Numerosi sono i punti comuni tra il Cristianesimo, l’’Islamismo e l’’Ebraismo, secondo Fabrizio, che fanno ben osservare la loro comune storica evoluzione. Ma anche in altre religioni, al di là di dovute differenze, si può riscontrare un’’unicità di messaggio per l’’uomo. L’’architettura può, per questo, sperimentare momenti di incontro supportati da una profonda indagine teologica. E’ il riflesso della cultura, e in particolare, l’’architettura religiosa traduce la teologia, l’’ecclesiologia di un’epoca.

Oggi, sosteneva Mirabella, con molta probabilità è azzardato pensare che un unico luogo possa accogliere celebrazioni diverse, vuoi per le differenti liturgie, vuoi per la difficoltà concreta di far coesistere il diverso. Non è azzardato invece pensare che sia l’’obiettivo verso il quale l’’uomo del terzo millennio deve dirigersi. Il diverso non è certo un uomo con colore della pelle, lingua, cultura e tradizioni diverse dalle nostre, ma molto più il diverso è insito in ognuno di noi, nella paura della perdita delle proprie certezze. Per questo è giustificata una proposta che tende non a nascondere l’’incontro ma ad accentuarlo.

I templi costituiscono da sempre gli edifici più “alti” all’’interno della città e rappresentano il collegamento tra il cielo e la terra, il luogo dove l’uomo comunica con Dio, in qualunque modo questi venga chiamato. Un “Ponte tra il cielo e la terra” tra il cuore e le azioni di ognuno di noi. Difatti questo incontro avviene in modi e spazi sempre diversi dove, molto spesso, la natura supera ogni manufatto architettonico che l’uomo crea. Questo perché è senso comune a tutte le religioni il rapportarsi con il cosmo simbolo dell’azione creatrice.
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Fabrizio, approfondì tale studio toccando con mano quelli che sono luoghi simbolo delle maggiori religioni quali: la Basilica di S. Pietro e la Moschea di Roma, la chiesa di Santa Maria Novella, la sinagoga di Firenze, la Moschea della Roccia, il Muro del Pianto, il santo Sepolcro a Gerusamme, la Basilica dell’’Annunciazione a Nazareth, la chiesa di Santa Caterina (della Natività) e la Dumia di Neve Shalom/Wahat al Salam di Betlemme.

Proprio in questa ricerca ed in questi viaggi ha maturato l’’esigenza di sentirsi “costruttore di pace” in forza di quello che era il suo personale credo. La difficoltà maggiore, ci ricorda la madre, è stata comunque il dover mettere da parte, in alcune occasioni, il suo punto di vista cattolico per iniziare una ricerca laica sulle costruzioni sacre. Tale ricerca lo ha portato a mettere in evidenza come ogni luogo di culto non viene incontro solo all’’esigenza dello spirito ma, anche e in taluni casi soprattutto, dell’’intero essere umano. Difatti ovunque nel mondo, presso ogni tempio, vi è una complementare presenza di strutture al cittadino.

IL PROGETTO – La più grande differenza con il progetto “The House of One”, sta nel fatto che se a Berlino si sta edificando un luogo unico che contiene tre edifici, l’idea di Mirabella (come potete vedere dai disegni) era quella di un luogo unico per tutti senza divisioni interne, tutti sotto lo stesso tetto.

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Fabrizio ha cercato di calare tale ricerca ed esperienza a Santa Cecilia, periferia del comune di Eboli con carenza di strutture in tal senso, dove, da alcuni anni, è forte la presenza di immigrati attirati dalla locale richiesta di lavoro nel campo dell’agricoltura della Piana del Sele. Tale presenza è vissuta in modo conflittuale dalla comunità ebolitana con evidenti episodi di intolleranza che minano il normale svolgersi della vita quotidiana. In questo tutti si è chiamati ed in particolare l’’architettura a creare condizioni di vita degne di ogni essere umano.

Di seguito le parole di Fabrizio stesso che spiega il suo progetto, che la madre ci ha concesso di riprendere dal suo blog:

“Un luogo per i culti degli stranieri presenti e per la crescita della locale comunità in vista del superamento di questo conflitto diventa strategico per lo sviluppo solidale di questa periferia. In questo senso assume grande importanza la ricerca di nuove caratterizzazioni spaziali per un tempio che sia segno di un nuovo tempo di comunione tra i popoli della terra. Ho fatto riferimento al cerchio come archetipo della raccolta. Questo segno geometrico evoca qualcosa di simbolico ed è guida per l’intero progetto che comprende, oltre al luogo proprio di culto caratterizzato da una semisfera che determina la riproposizione del rapporto col cosmo, 2 sale conferenze per 50 e 350 persone, mediateca, alloggi per circa 100 posti letto, locali adibiti a mensa, ambulatorio e bagni pubblici questi ultimi per far fronte in special modo all’esigenza di accoglienza per immigrati e per i tanti senza fissa dimora. Grande importanza assumono inoltre tutti gli spazi aperti progettati per creare luoghi di incontro e studio per i fruitori della struttura.

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Queste sono le esigenze che ritengo opportuno vengano soddisfatte e che in parte sono individuate dallo strumento urbanistico vigente sulla zona. Il piano regolatore di Eboli prevede la costruzione a Santa Cecilia di strutture per la religione non cristiana, per l’’accoglienza degli stranieri sia sociale che sanitaria e la creazione di spazi in favore dello sviluppo culturale. Ma è soprattutto il dibattito che si sta sviluppando nella Piana del Sele a mettere al centro del vivere della società civile l’interessamento verso chi molto spesso è costretto a vivere al margine. 

Dal punto di vista urbanistico il progetto suggerisce un marcato segno urbano per lo sviluppo della periferia, cercando di dare qualificazione ad una zona del centro abitato nata senza alcuna pianificazione e del tutto priva di ogni tipo di servizio al cittadino. Creare qualità e dignità spaziale in questo che è un forte centro di degrado urbano è un modo attraverso il quale l’architettura è partecipe allo sviluppo dell’’uomo. Molto spazio all’’interno del progetto trova l’uso di materiali che rimandano indietro nel tempo. Legno e mattoni uniti al ferro cercano di dare una risposta a quello che il senso unico di tante costruzioni sacre, il cemento armato, cercando di equilibrare la rigidezza formale dei questi materiali con la plasticità della forme, senza per questo trovare un limite alla stessa progettazione ma invece dando nuovo vigore alle forme, soprattutto facendo tesoro delle possibilità del legno lamellare e delle tecniche legate alle costruzioni con mattoni”.

Tutto questo era Fabrizio Mirabella, un uomo che ha sempre lottato per le sue idee e i suoi progetti. Un concittadino che è stato strappato alla vita troppo presto, quando la sua mente viaggiava al massimo e creava e aveva visioni futuristiche. Salito in cielo dinanzi a sua madre, che da un momento all’altro, il tempo di porgergli una tazza di caffè lo ha visto stroncato da un infarto che lo ha portato via.

Su di lui sono state scritte fiabe, come quella del suo amico Christian De Iuliis (che trovate cliccando qui), nelle scuole, come il Giacinto Romano ad Eboli, sono stati istituiti dei premi e dei concorsi per i ragazzi che hanno come tema delle tematiche riprese dai progetti di Fabrizio, atte tutte e a sensibilizzare verso l’unione razziale.

 

*Ci tenevo a raccontare la storia di questo ragazzo e ringrazio la madre per la sua disponibilità a raccontarmi determinati avvenimenti.

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