Continua il nostro viaggio, grazie alla collaborazione di Raffaele Ciaglia gestore di “Le nostre Bellezze Sconosciute” e sempre alla ricerca di luoghi della Provincia di Salerno a cui ridare lustro e visibilità, nel riscoprire le tante bellezze che la storia ha lasciato sul nostro territorio.
Oggi parliamo de santuario rupestre di S. Michele alle Grottelle, per l’ubicazione e per la vicinanza con una sorgente d’acqua, è probabile che fosse già frequentato in età pagana, da genti che vi praticavano culti ctonii (ossia sotterranei), cui si sovrappose poi quello micaelico non appena la fede cristiana poté esprimersi liberamente alla luce del sole (ossia in Età Costantiniana).
TRA MITO & RELIGIONE – A corroborare tale ipotesi è la forte similitudine intercorrente tra l’Arcangelo ed il dio pagano Attis, signore delle forze sotterranee, delle acque e dei terremoti ed accostato nel mito alla gran Madre degli dèi Cibele. In Occidente tutto comincia con la sua apparizione in una grotta sul Monte Gargano al vescovo di Siponto (oggi Manfredonia), l’8 maggio del 490, giorno ancor oggi celebrato presso numerose comunità cristiane (come la nostra Sala Consilina). A questa seguiranno altre apparizioni (almeno 6 o forse 5 storicamente documentabili), sempre nello stesso luogo, che in seguito sarebbe divenuto quel magnifico santuario, a Monte S. Angelo, ancor oggi meta di tanti pellegrinaggi. Ed è qui la somiglianza più impressionante tra il dio pagano Attis e l’arcangelo Michele, entrambi strumenti per l’uomo del passaggio dalla morte alla vita e viceversa, simbolo di risurrezione e d’immortalità: il primo, in quanto figlio della madre terra e dio della vegetazione, che, come tale, muore e risorge, rinnovandosi continuamente; il secondo quale “psicopompo”, che cioè accompagna le anime degli uomini oltre la morte, pesandone le virtù su una bilancia.
LA GROTTA – Il fatto di trovare a Padula il culto di S. Michele con quei connotati bizantini, poi scomparsi dopo che i Longobardi lo rivestono di molti caratteri nordici accentuandone lo spirito guerriero, è la prova più evidente dell’antichità della consacrazione micaelica della grotta.
Passando alla descrizione del santuario, esso consta di un’articolata cavità rocciosa delimitata da una parete in muratura che scende a strapiombo lungo il fianco montuoso del colle e che ospita due moderne finestre. Prima di accedere alla grotta, un cancello immette in uno spazio terrazzato, dove troviamo nella concavità rocciosa a sinistra cospicui resti di affreschi databili alla fine del secolo XIV (scene che raffigurano la Vergine, secondo un tipo iconografico precedente alla conquista turca di Costantinopoli del 1453). In una sorta di inquadramento prospettico ricavato nella rientranza rocciosa, riconosciamo un’Incoronazione della Vergine sul fianco sinistro, una Madonna con Bambino al centro e una Dormitio Mariae sulla destra. Il culto della Vergine associato a quello di S. Michele nel medesimo luogo trova ancora una volta corrispondenza con il passato pagano, che associava sempre Attis alla Madre Terra Cibele.
Nella grotta, però, l’importanza maggiore la riveste il ciclo pittorico di Santiago de Compostela, ospitato in una ben conservata edicola votiva, incastonata in una rientranza della grotta a mo’ di primigenio altare e purtroppo oggi scarsamente visibile data la presenza ingombrante di un altare novecentesco, che altera non poco l’armonia interna degli spazi.
Trasferitisi progressivamente sul colle al di qua del Fabbricato a partire dal V-VI sec., e poi definitivamente nel IX, gli abitanti di quegli anni portarono con sé anche il culto dell’Arcangelo, cui dedicarono la Chiesa Matrice, che ancor oggi svetta in cima al paese.
Celebrare S. Michele nel suo santuario rupestre delle Grottelle, celebrarlo per di più in giugno e portarlo in processione lungo l’antico sentiero conducente alla Civita, come avviene ogni anno, vuol dire per i Padulesi tornare alle proprie origini, riscoprirsi nel passato e riconoscersi nel presente in un momento di comune aggregazione, lasciare che quella stessa Madre Terra, che un tempo generò i padri, ne abbracci ora i figli, aprendo loro il suo grembo.
Filippo Folliero