L’angolo analitico: “Il calcio è davvero lo specchio della politica?”

Il calcio, più di qualsiasi altro sport in Italia, è da sempre un riflesso della società che lo esprime: i suoi successi e i suoi fallimenti risuonano ben oltre il campo di gioco, toccando ambiti culturali, economici e, soprattutto, politici. In Italia, questa connessione è particolarmente evidente. Analizzare il calcio italiano oggi equivale, in molti aspetti, a leggere una radiografia della nazione stessa, con le sue contraddizioni, crisi sistemiche e difficoltà a riformarsi.

Il calcio non è solo intrattenimento, è identità collettiva, rituale sociale e simbolica. Come la politica, il calcio coinvolge masse, genera passioni e riflette modelli organizzativi. Quando lo Stato è forte e funzionante, anche le istituzioni calcistiche tendono ad essere più efficienti; quando il sistema politico è paralizzato, corrotto o incapace di innovarsi, anche il calcio nazionale ne soffre.

Basti pensare al ventennio tra l’inizio degli anni 90 e la fine dei primi anni 2000, quando il calcio italiano era una meta per i calciatori stranieri, un punto di arrivo. Le squadre italiane dominavano la scena, ricche di talento made in Italy, la Nazionale era protagonista tanto da riuscire a portare a casa anche il quarto mondiale a coronamento di quel periodo d’oro.

Non sarà un caso che quelli sono stati anche gli ultimi anni in cui in Italia si viveva bene, c’era lavoro, c’era guadagno, dove anche una famiglia media poteva permettersi beni di lusso e realizzare quei piccoli grandi sogni che ognuno cova nel proprio cassetto.

Un lento declino è poi iniziato, prima con le uscite tragicomiche nei Mondiali 2010 e 2014 e poi con le mancate qualificazioni a due Mondiali consecutivi (2018 e 2022), le difficoltà economiche dei club, le strutture fatiscenti e una governance spesso inadeguata hanno confermato che il successo agli Europei 2021 era stato un’eccezione, non la regola.

Tutti questi elementi rispecchiano perfettamente alcune dinamiche della politica italiana:

IMMOBILISMO ISTITUZIONALE: la FIGC e la Lega Serie A, come molte istituzioni pubbliche italiane, faticano a prendere decisioni coraggiose o impopolari. Le riforme — riduzione del numero di squadre, valorizzazione dei vivai, investimenti negli stadi — vengono continuamente rimandate, come accade spesso anche nella sfera politica dove non si prendono decisioni forti, nessuno si assume più le sue responsabilità e si cerca sempre di nascondere la polvere sotto il tappeto.

CLIENTELISMO E INTERESSI LOCALI: il calcio italiano è frammentato da interessi particolaristici, proprio come la politica. Ogni presidente di club si muove secondo logiche proprie, e il sistema premia il compromesso a ribasso piuttosto che una visione comune. Solo tra i più recenti casi quello dell’ex calciatore del Napoli, Salvatore Bagni, che chiede 30mila euro per promettere alle famiglie una grande carriera al proprio figlio. O il caso del giovane Emanuele Profeti, giovane del Ronciglione (campionato Promozione) che il programma LeIene ha utilizzato per dimostrare che con 70mila euro e la complicità di agenti e dirigenti del proprio finto assistito, sarebbe potuto passare alla Sampdoria primavera. Nel calcio italiano non c’è spazio per il talento, la fantasia, la creatività ma si aprono le porte a chi può pagare, ai raccomandati, agli amici da sistemare.. Vi ricorda qualcosa? Esatto, proprio la vostra città, proprio il luogo in cui vivete, dove il know how, le skills e le abilità delle persone passano in secondo piano rispetto ai favoritismi e interessi locali. Politici che negano la realtà pur di sistemare parenti e amici, ormai gestori di paesi fantasma che continuano a definire modelli da seguire. Un po’ come il calcio italiano, no? Un presidente che non si dimette dopo una serie di fallimenti ma continua a negare l’evidenza.

DECLINO STRUTTURALE: gli stadi italiani sono in larga parte obsoleti, un problema che affonda le radici in burocrazia, assenza di pianificazione e mancanza di investimenti, tutte problematiche analoghe a quelle dell’edilizia pubblica, della mobilità e dei servizi statali.  Si guarda con gli occhi a cuoricino i vari modelli europei e non si investe un euro per migliorare sturtture fatiscenti, così come i cittadini pagano vagonate di tasse e non hanno uno straccio di servizio a loro favore. Scuole che cadono a pezzi, delinquenza, uffici pubblici con impiegati al limite della disabilità e inadatti a svolgere determinati ruoli.

Questo vale sia a livello nazionale che locale, perchè anche nella tua città succede tutto questo, anche nella tua città ci sono uno o più politici che faticano ad esprimere un concetto in italiano e sono lì perchè nipoti del Senatore o cugino di qualche imprenditore localotto convinto di avere il mondo in mano nella sua città di quattro anime.

L’Italia si è auto sabotata, potenzialmente un paradiso degenerato pian piano in un inferno a senso unico. La politica dell’Io ha prevalso su ogni cosa, ecco perchè è il Paese più vecchio, ecco perchè in tutti i ruoli non troviamo mai giovani in gamba ma mummie che attendono il sarcofago per riempirlo con i soldi da portarsi dall’altra parte. Quei pochi giovani che vediamo sono lì per il meccanismo del “Clientelismo e interessi locali” di cui parlato sopra e infatti i risultati sono quelli che sono. Certo come per gli Europei 2021 c’è fortunatamente qualche eccezione.

Un paese pieno di colori diventato grigio, dove non c’è spazio per niente se non per l’arricchimento personale. Non c’è posto per le idee, non c’è posto per il futuro, con un ostracismo agguerrito verso chi prova a portare una ventata di freschezza. Ecco perchè in Italia i talenti fuggono, nel calcio e nella vita, non c’è valorizzazione. Le squadre di Serie A puntano spesso su stranieri a basso costo e non investono in settori giovanili strutturati. Questo riflette un modello economico e politico che spesso penalizza la meritocrazia, scoraggia l’innovazione e preferisce il mantenimento dello status quo, o per meglio dire stranieri a basso costo. Perchè il pazzo giovane italiano vuole essere pagato dignitosamente per il suo lavoro, un folle no?

MANCANZA DI POSIZIONI –  Purtroppo e non mi sento di condannarli, dall’altra parte i cittadini sono loro stessi un problema che alimenta questo sistema. Così come nel calcio nessun dirigente prende una posizione ma si fa oliare dal meccanismo, anche il popolo spesso ha paura di prendere una posizione per paura di uscire da quel meccanismo in cui è abituato a vivere. Avrà da lamentarsi a giornate intere con amici e parenti, ma non troverà mai il coraggio di affrontare il problema alla radice, lasciando decidere altri della propria vita e del proprio futuro.

Nel 2010, un “tale” Roberto Baggio presentò, da presidente del settore tecnico di Corverciano, un piano di 900 pagine per rifondare la FIGC: scouting, centri federali, dati, giovani e talento al centro. Non fu ascoltato e si dimise.

Non sono qui di certo per dare soluzioni, perchè sarebbe un’offesa alla mia intelligenza e di chi ha letto fin qui. I metodi per migliorare ci sono e li conosciamo tutti, ma la gettonata frase “Il pesce puzza dalla testa”, è sacrosanta verità. Il fallimento del calcio italiano non è soltanto sportivo: è un fallimento sistemico, culturale e politico. È lo specchio di un Paese che da anni fatica a riformarsi, a valorizzare i propri talenti, a pianificare il futuro.

Tanti proclami, giovani costretti a doversi per forza legare a qualcuno o a qualcosa per farsi strada. Questo non è coltivare e investire nel futuro, questo è cercare di spegnere ogni minima fiammella, perchè la paura che divampi un incendio che rada al suolo il vecchiume di idee e modi di fare è troppo grande per un Paese così arretrato.

L’ultimo caso di specchio tra politica e Nazionale è il rifiuto di Claudio Ranieri nel prendere il posto di Luciano Spalletti come CT dell’Italia. Il dramma di un uomo che cerca disperatamente di andare in pensione e non gli viene permesso è piuttosto sintomatico del Paese. Pur di non osare, pur di non ringiovanire, pur di non cambiare si torna sempre al punto di partenza cercando un capro espiatorio da mettere alla gogna pubblica o, come in questo caso, calmare il clamore popolare. Parallelamente i massimi dirigenti continuano a restare lì, cercando di mettere toppe piuttosto che prendersi le proprie responsabilità.

Filippo Folliero

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