Recensione: Castelli di Rabbia, di Alessandro Baricco

Il destino, a Quinnipak, è una giacca troppo grande che non si può accorciare. Lo sa bene Pehnt, che il suo lo porta addosso da sempre, da quando la vedova Abegg lo trovò. Solo, avvolto in una giacca da uomo, appena nato.

I segreti, a Quinnipak, sono colla che tiene insieme le persone, ma prima o poi cede. Lo sa bene il signor Rail, come sa bene anche che prima o poi, una sera o l’altra, alla domanda “Quando parti?” sua moglie Jun risponderà “Domani”.

Non è necessario avere una bella voce per cantare, a Quinnipak. Basta avere una nota dentro. Basta capire qual’è. E nessuno la intonerà mai come te, la tua nota.

Poi c’è Pekisch, a Quinnipak, che una nota dentro non ce l’ha, non riesce proprio a trovarla. Ne sente troppe, e quando senti così tante note, tutte insieme, come fai a sapere qual è la tua?

Ci sono due orchestre, a Quinnipak, che suonano musiche diverse e partono dai due lati opposti della città per incrociarsi a metà strada. E c’è un umanofono, uno strumento formato da persone che suonano la nota che hanno dentro. E una fabbrica di vetro. C’è anche una locomotiva. A Quinnipak…. Ma non c’è una trama.

Nei libri di Alessandro Baricco non c’è quasi mai. E nemmeno in Castelli di rabbia. Oppure c’è ma è nascosta bene, dietro le parole, dietro i personaggi.

Perché sono quelle le cose importanti: le parole, i personaggi, la descrizione del mondo che hanno intorno, ma anche – e soprattutto -, del mondo che hanno dentro. Oppure c’è ma la perdi, proprio quando pensavi di averla trovata. Vai al capitolo successivo e la perdi.

In Castelli di Rabbia ogni capitolo somiglia ad una scena teatrale. Si apre il sipario, ti mostra ciò che c’è da vedere, si richiude lasciandoti a bocca aperta e col fiato sospeso. Hai fretta di vedere la scena successiva perché ti aspetti che risponda alle domande di quella che si è appena conclusa.

Ma questo non succede quasi mai. Il sipario si riapre ed è tutto cambiato: la scenografia e, a volte, anche gli attori.

“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”, scrive Alessandro Baricco.

Ed è così anche nei i suoi libri, non solo nella vita. A volte le risposte arrivano dopo poche pagine. Ma il più delle volte, bisogna arrivare all’ultima scena, per capire davvero tutte le altre.

A cura di Miriam Santimone

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