Alfredo e Beatrice abitavano su due piani diversi dello stesso palazzo.
Il loro quartiere, soprannominato la “Fortezza”, era circondato da mura fatte di pregiudizi che tenevano lontano chi era fuori e prigioniero chi era dentro.
Un quartiere fatto di degrado e polvere.
Un quartiere da cui non si scappa mai davvero: la polvere ti resta addosso anche se vai via.
Alla Fortezza tutto aveva un soprannome.
Anche Alfredo e Beatrice.
“I gemelli”. Così li chiamavano tutti.
E non perché fossero nati dalla stessa madre e dallo stesso padre: non era il sangue ad unirli.
Li chiamavano così perché a furia di stare insieme avevano iniziato a camminare allo stesso modo, a fare le stesse espressioni, gli stessi gesti nervosi.
Eppure Beatrice non conosceva nessuno così diverso da lei come lo era Alfredo.
Lei era determinata e forte.
Alfredo era fragile, troppo fragile, tanto che aveva bisogno di appoggiarsi a lei per sopravvivere.
Erano così diversi e non si sarebbero mai capiti.
Tra loro era sempre stato così, già da quella notte in cui i loro occhi si erano incrociati per la prima volta.
Quella notte in cui il padre di Alfredo, tornato a casa ubriaco, lo aveva picchiato a sangue.
Lei era una bambina spaventata che era corsa al quinto piano attirata da un pianto disperato.
Lui era un bambino sporco di sangue, che piangeva a terra coprendosi il volto con le mani.
Non aveva smesso un attimo di agitarsi fino a quando Beatrice non era scoppiata anche lei in lacrime.
Solo allora aveva tolto le mani dal viso e l’aveva guardata muto.
Non capiva cosa avesse da piangere lei visto che quello messo male era lui.
Da quella notte, ogni volta che suo padre tornava a casa ubriaco, Alfredo scendeva di corsa le scale del palazzo per rifugiarsi nell’appartamento di Beatrice.
Non aveva mai bisogno di bussare.
Beatrice capiva subito quando lui stava per arrivare.
Lo riconosceva dal rumore dei suoi passi.
I passi di Alfredo riecheggiano nel palazzo di un quartiere occupato agli inizi degli anni Ottanta.
Il degrado e la rassegnazione di chi in quel quartiere ci vive sono raccontati dalla voce piena di rabbia di Beatrice.
Il destino dei ragazzi della “Fortezza” è un percorso già tracciato.
Droga, alcol, carcere…
Sembra quasi non ci siano alternative, o forse i ragazzi della Fortezza hanno smesso di cercarle.
Ma Beatrice non vuole seguire quel percorso, vuole ritracciarlo.
Alfredo, invece, lo segue come fosse l’unico possibile, come fosse inevitabile.
E Beatrice sarà l’unica che gli rimarrà vicino fino alla fine di quel percorso che lo porterà alla morte.
“Il rumore dei tuoi passi” è un libro che inizia dalla fine.
Inizia con il funerale di Alfredo e con Beatrice che si chiede come la chiameranno adesso che il suo “gemello” è morto.
Ancora non capisce il senso di quel soprannome messo proprio a loro due che in comune non avevano niente.
Proprio a loro due che erano stati sempre un mistero l’uno per l’altra.
Ma se avere un gemello significava sentire in simbiosi i suoi dolori, le sue gioie, conoscere a memoria ogni cosa di lui, perfino il rumore dei suoi passi, allora era vero: lei e Alfredo erano gemelli.
Il primo romanzo di Valentina D’Urbano racconta la storia di un’amicizia che, come in tante altre storie, si trasforma in amore.
Ma l’amore di Beatrice e Alfredo non è come gli altri, non è fatto di parole dolci o gesti affettuosi.
Eppure è forte e resistente a tutto, anche alla morte, e riesce ad accende una fiamma di speranza dove non ce n’è più, dove non c’è mai stata.
Come un girasole che nasce dal cemento.
A cura di Miriam Santimone