Tradizione & Curiosità: il mese di ‘Maggio’, la dea ‘Maia’ e l’Abruzzo

«Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol» (Giosuè Carducci)

Maggio, secondo il calendario gregoriano, è il quinto mese dell’anno ed è l’ultimo mese per la Primavera in cui tutti i fiori sbocciano rigogliosi in particolare il mese delle rose, e per tale motivo è consacrato a Maria Vergine.

Origini del mese di Maggio – Maius in latino, Maggio, prende il nome da un’antica divinità la dea Maia, madre di Mercurio e moglie del dio Vulcano per la cultura romana, nella religione greca era figlia di Atlantide e Pleione. Zeus amante focoso rimase molto affascinato dalla sua bellezza e la desiderò. Secondo gli Inni giacque con lei una notte nella grotta del monte Cillene. Dall’unione venne alla luce il dio Ermes. Alla morte della dea Maia, Μαῖα, Zeus la trasformò nella costellazione Pleiadi.

Secondo un altro racconto Maia e le sorelle furono trasformate in colombe e poi in stelle da Artemide dea della caccia per salvarle da Orione.

Nel rito romano la dea della primavera Maia, il suo nome in latino significa “colei che porta crescita” oppure “colei che è grande” Magno, grande, era onorata il primo giorno di Maggio, e il 15 giorno delle idi e il 23 Agosto. Secondo la tradizione il sacerdote offriva in sacrifizio alla dea una scrofa gravida per propiziare la fecondità della terra.

Curiosità – Una storia lega fortemente ancora oggi la dea Maia alla terra d’Abruzzo. Una leggenda racconta che quando Ermes venne ferito in battaglia, sua madre fuggi con lui dalla Frigia e arrivò in Abruzzo. Sulle montagne vi era l’erba miracolosa che avrebbe potuto salvare suo figlio. Quando arrivò sulla montagna trovò il suolo coperto dalla neve e non riuscì a salvarlo, Ermes morì.

La dea Maia lo seppellì sul Gran Sasso e ancora oggi quando si guarda il profilo della catena montuosa si può osservare il gigante che dorme. Sua madre si lasciò morire, fu trovata dai pastori che impietositi la seppellirono e adornarono la sua tomba di vesti preziose, di vasi d’oro, di erbe aromatiche e fiori. La montagna prese il nome della Majella e ancora oggi i pastori odono i lamenti e i pianti di dolori.

Laura Piserchia

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