1968, il mondo in rivolta – Cecoslovacchia: la Primavera di Praga

«Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita. Come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce.»
(Francesco Guccini – Primavera di Praga)

Tra i Paesi sottoposti al controllo dell’Unione Sovietica ve ne fu uno che, anche per via della sua posizione “affacciata” sull’Occidente, era uno dei Paesi comunisti con maggiore tradizione democratica e con più stretti rapporti con l’Europa: la Cecoslovacchia. Nonostante un clima politico-culturale instabile, a cui si aggiungeva una condizione economica sempre più critica, Praga, la capitale, divenne un importante punto d’incontro per politici, scrittori e artisti contrari all’oppressione sovietica. In un panorama apparentemente stagnante si presentò finalmente l’occasione per una svolta, la Cecoslovacchia fu teatro di uno degli eventi che maggiormente segnarono il 1968: la Primavera di Praga.

Dubček e la Primavera – Il 5 gennaio 1968, il riformista cecoslovacco Alexander Dubček divenne segretario generale del PCC (Partito Comunista di Cecoslovacchia) al posto di Novotný, leader della componente più legata al Partito comunista sovietico. Dubček era un uomo dalle idee progressiste che diede avvio ad una strategia politica il cui fine era quello di introdurre elementi di democrazia in tutti i settori della società attraverso riforme che includevano, tra l’altro, libertà di stampa, di espressione e di movimento e che – utopisticamente – avrebbero dato luce ad un “Socialismo dal volto umano“.

Riforme che agli occhi dell’Occidente apparivano come una vera novità per un Paese di stampo comunista, ma che, nonostante non si proponessero né di rovesciare né di allontanarsi completamente dal regime, furono viste dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all’egemonia dell’URSS sui Paesi del blocco Orientale, e, in ultima analisi, come una minaccia alla sicurezza stessa dell’Unione. Per comprendere a pieno le ragioni di questo allarme bisogna tener presente, ancora una volta, la collocazione geografica della Cecoslovacchia, posta esattamente al centro dello schieramento del Patto di Varsavia: una sua insubordinazione non poteva essere tollerata in periodo di Guerra Fredda, anche perché altri Paesi avrebbero potuto seguirne l’esempio reclamando, a loro volta, maggiore autonomia.

A seguito del fallimento dei negoziati, Brežnev – l’allora Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica – prese in mano la situazione e inviò migliaia di soldati e carri armati del Patto di Varsavia ad occupare il Paese. La stagione delle riforme ebbe bruscamente fine, sotto lo sferragliare dei cingoli dei carri armati, nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, quando una forza stimata tra i 200.000 e i 600.000 soldati e tra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati invase il Paese. Tutte le libertà concesse vennero annullate e la situazione politica si fece ancora più pesante di prima.

Tale gesto fu poi “giustificato” dallo stesso Brežnev che, in un discorso tenuto davanti al quinto congresso del Partito Operaio Unificato Polacco il 13 novembre 1968, espose quella che poi divenne nota come “Dottrina Brežnev”:

«Quando le forze che sono ostili al socialismo cercano di portare lo sviluppo di alcuni Paesi socialisti verso il capitalismo, questo non diventa solo un problema del Paese coinvolto, ma un problema comune e una preoccupazione per tutti i Paesi socialisti.»

Jan Palach – Studente di filosofia dell’Università Carlo IV di Praga, Jan Palach (1948 – 1969) è stato un patriota cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza anti-sovietica del suo Paese. A seguito degli eventi della Primavera, Palach e alcuni suoi amici decisero di manifestare il loro dissenso attraverso una scelta estrema: il suicidio. Erano cinque e Palach fu il primo. Il 16 gennaio 1969 il giovane si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga, si cosparse il corpo di benzina e si diede fuoco. Morì dopo tre giorni di agonia in ospedale in seguito alle complicazioni dovute alle ustioni riportate. Il suo non fu un gesto di disperazione, ma un’azione offensiva, così come è possibile intuire dalle dichiarazioni riportate negli scritti del giovane studente, delle quali una in particolare è degna di nota:

«Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (il giornale delle forze di occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà»

Il suo funerale si tenne il 25 gennaio, parteciparono migliaia persone provenienti da tutto il Paese.
Nel 1990 gli fu dedicata una lapide, posta in piazza San Venceslao, a Praga, per commemorare il suo sacrificio dettato dall’impegno civile.

La condanna ai soprusi compiuti dai sovietici ai danni della libertà del popolo cecoslovacco divenne poi poesia nelle mani di Francesco Guccini, che decise di rendere omaggio ai protagonisti della Primavera ed al sacrificio di Jan Palach per mezzo di un brano intitolato proprio Primavera di Praga scritto nel 1970, pubblicato nell’album Due anni dopo.

Leggi anche —> “URSS: Per la vostra e la nostra libertà!”

Francesco Albanese

CHE DICI?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *