Alla riscoperta del nostro territorio, i personaggi e i mestieri: “A Strangulatora”

Continua il nostro viaggio, grazie alla collaborazione di Raffaele Ciaglia gestore di “Le nostre Bellezze Sconosciute” e sempre alla ricerca di luoghi della Campania e della Basilicata a cui ridare lustro e visibilità, nel riscoprire le tante bellezze che la storia ha lasciato sul nostro territorio.

Inoltre analizziamo i personaggi e dei mestieri simbolo delle varie comunità e che oggi non sono più di uso comune. In questo articolo parleremo della Strangulatora.

Accadeva in molte zone d’Italia, che vi era una persona che veniva chiamata al capezzale dei morenti per aiutarla nel trapasso. Veniva chiamata “Angelo della buona morte” ma ad Eboli era definita col nome di ‘A Strangulatora.

DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE – Era una donna che alleviava i dolori e le sofferenze di coloro che stavano per lasciare questa terra. Il “mestiere” si tramandava di madre in figlia: la donna dava la vita, la donna la toglieva. La chiesa condannava questo tipo di pratica che altro non era che l’eutanasia di oggi.

Ad Eboli, la famiglia della Strangulatora, abitava da secoli nella zona detta “Caccone” (oggi, Via Cavone). Lì viveva sua nonna, lì sua madre, lì viveva lei con sua figlia e naturalmente suo marito. Gente povera che viveva alla giornata. Non chiedeva nulla a chi la chiamava per eseguire il rito del trapasso, perché essere pagati per far morire portava male. Qualcuno le dava qualche alimento e solo i più ricchi le davano qualche grana (pochi soldi).

La Strangulatora veniva chiamata a sera inoltrata quando di luce non ve ne era assolutamente ed i parenti, tutti intorno al letto del giacente, pregavano. Ella entrava e alla sua vista, in massa si mettevano davanti alla porta ben chiusa o addirittura fuori, se la casa era composta da una sola stanza. Moltissime volte le case dei poveri erano formate da un solo vano che facevano da cucina e da camera da letto e, per i più fortunati, faceva anche da stalla (fortunati perché vuol dire che avevano anche gli animali).

IL RITO – Tutti, in coro, pregavano. Molte erano anche le preghiere spontanee nelle quali si chiedeva, in volgare, l’assistenza dell’Angelo custode durante il trapasso. La Strangulatora, al capezzale del sofferente, una volta invocato Cristo e chiesto il perdono per l’azione che stava per eseguire, soffocava il morente. Spesse volte si aiutava con un legno a mo’di martello colpendo il cranio e poi lo finiva. Questo, però si verificava quando i dottori esplicitamente dicevano che non c’era nulla da fare. La Strangulatora raramente veniva accompagnata da qualcuno, eccetto in vecchiaia. In quell’occasione vi era la figlia o da quella che poi doveva prendere il suo posto, una volta che lei non poteva più esercitare.

Dopo  il trapasso restava in preghiera, forse per chiedere perdono, o forse per far finta di pregare perché ufficialmente lei non figurava come quella che strangolava il morente ma come quella che chiedeva a Dio di farlo morire con le preghiere. A volte ci impiegava anche più di un’ora e a volte meno. Dipendeva dal suo stato d’animo. Quando la morte era avvenuta usciva dalla stanza con la candela accesa lasciando la porta aperta.

La donna, vestita di nero ed incappucciata, com’era venuta se ne andava e nessuno la poteva seguire perché nessuno poteva e doveva sapere chi ella era davvero.

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