Alla riscoperta del nostro territorio: l’abbigliamento tipo delle donne salernitane nel 1800

Continua il nostro viaggio, grazie alla collaborazione di Raffaele Ciaglia gestore di “Le nostre Bellezze Sconosciute” e sempre alla ricerca di luoghi, delle storie e delle leggende della Campania e della Basilicata a cui ridare lustro e visibilità, nel riscoprire le tante bellezze che la storia ha lasciato sul nostro territorio.

Oggi parliamo di usi e costumi che caratterizzavano le donne del meridione nella metà del 1800, precisamente nel 1852 e in quella che oggi è la provincia di Salerno, grazie ad un documento recuperato e tradotto dall’Archivio di Stato di Salerno che descriveva l’abbigliamento delle donne di quegli anni e che vi riportiamo integralmente.

“Per chi è curioso dì osservar i costumi del vestire de’ contadini de’ diversi paesi del nostro Regno, crediam che non poca attenzione meritasse la foggia delle vestimenta delle donne. L’abito di costume delle donne salernitane consiste in un giustacuore detto camiciuola, a lunghe maniche, che affidato ad appositi bottoni copre immediatamente tutto il petto; ed in un corpetto per lo più orlato di fettucce come il giustacuore ne’ lembi, a maniche corte. Aperto nel davanti si chiude esso a modo di busto, e s’indossa sul primo si fattamente che, o quando si veste il solo giustacuore, come ordinariamente ogni giorno, o quando anche il soprapposto corpetto. In dì solenni, gli estremi delle maniche ornati dí graziosi e grandi nastri di seta, e fermati per via di laccioli, restino al quanto distaccati nelle congiunture delle spalle, da far trasparire in su gli omeri la bianca camicia, per lo píù di lino finissimo. Una ricca ed ampia gonna, soprapposta ad un sottanino di mussolíno o di vagramma, e ridotta in minute pieghe nella sua parte superiore, là dove con bel garbo innestavi al corpetto, nel giusto mezzo della cintura, per via di adatti legami di seta, di cotone o simile, veste il rimanente del corpo, e fa di sé non disgradevole mostra, ricadendo giù fin sul calzamento, e le scarpe, che sogliono essere di seta, di tibet, di dog, o anche di lucida pelle, spesso fermate da grosse fibbie d’argento. Un fazzoletto di seta o di lino, di velo crespo, o d’altra roba ricamata, con dei merletti ne’ lembi, a secondo del vestito, e che avvolgendosi al collo s’incrocia in sul petto; ed un grembiule ora di gros, ora di tullo, ed ora di fino mussolinetto, aggiungono non poca grazia alla gonna. Singolare poi, e caratteristica, è l’acconciatura della loro testa. Divisi i lunghi e lucidi capelli in alquante trecce, si accomodano ad un rivolto di lana rivestito di seta di color scarlatto, ripartito in due capi; di tal che girando vagamente dall’occipite, vengono a legarsi per vie di spille nel mezzo della testa. Questo picciol rotolo che ancora conserva la greca voce di scettola, cominciano le fanciulle ad usarlo sol quando son divenute nubili. Laddove prima di tal tempo accomodano i capelli con semplice nastro di seta nera. E sull’aggiustamento della scettola le donne maritate, o di qualche età, indossano una cuffia reticolata, detta rezzola. Tessuta dalle stesse donne del paese, a maglie di filo di svariati disegni, o lavorata sul tullo, il cui uso non è ora veramente sì in voga, conte prima, con particolari ferri, ad un dipresso simili al crochet. Quanto alla qualità e colori dei vestiti e da osservare che ne le donne ne gli uomini, che vestono come i contadini di ogni città si può notare affatto quelle ristucchevole uniformità che spesso si rinviene in moltissimi paesi del nostro regno ed anche fuori, vestendo ciascuna a suo talento”

A cura di Raffaele Ciaglia

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