I dati statistici sul femminicidio sono sempre più preoccupanti. Oggi, noi dell’Angolo di Phil solerti nell’approfondire determinate tematiche per offrivi uno spunto di riflessione, abbiamo incontrato il Dottor Antonio Leggiero, criminologo e docente in criminologia di Avellino, per provare a fare chiarezza su questo tema tanto delicato quanto purtroppo diffuso.
Per femminicidio si intende l’omicidio di una donna in tutte le sue manifestazioni per motivi legati al genere. In realtà è l’ultimo atto di una sequela di violenza sia fisica che psicologica.
Può dirci quali sono i segnali cui una donna dovrebbe prestare attenzione sin da subito?
“Tranne rari casi in cui l’omicidio di una donna è commesso da un soggetto a causa di patologie psichiatriche di elevato spessore e pervasività, il femminicidio è sempre il culmine di un lungo e tormentato iter infarcito di violenza verbale e fisica, maltrattamenti, abusi, manifestazioni di disprezzo, atteggiamenti di superiorità prevaricatrice, privazione di affetto, vessazioni e manipolazioni di tipo sentimentale ed economico. In altre parole, tale odioso crimine non nasce ex abrupto ma costituisce e rappresenta la parte finale di un lungo excursus di comportamenti illeciti nonché moralmente disdicevoli e riprovevoli”
Il femminicidio scaturisce da un desiderio di possesso e dall’incapacità di accettare un fallimento, secondo Lei sarebbero utili dei corsi di educazione affettiva a partire dall’età evolutiva?
“Al di là della proficuità di singoli percorsi formativi, occorre che l’uomo inizi a gestire meglio la sua rabbia ed il suo stress (di cui è, purtroppo, intrisa la nostra realtà quotidiana). Occorre che tali sensazioni e reazioni emotive vadano canalizzate in modalità maggiormente congrue e non fatte detonare all’interno della coppia. E’ doveroso predisporre forme di tutela, prevenzione e repressione sempre più mirate ed intensificate da parte delle Istituzioni, coinvolgendo anche le donne in percorsi formativi che le pongano in condizioni di cogliere e conoscere i prodromi di un’eventuale escalation da parte del partner”
Ormai sono numerosissimi i programmi televisivi che si occupano di femminicidi e più in generale di violenza sulle donne, secondo Lei questo può creare un effetto emulativo?
“Certamente! Pur andando un po’ controcorrente, ritengo che alcuni format televisivi (come in genere l’abuso di notizie in tema) possa sortire un perverso effetto emulativo. Effetto emulativo che in criminologia è conosciuto come “effetto Werther” (dal nome del protagonista suicida dell’opera di Goethe, la quale, all’atto della pubblicazione, produsse un’ondata di suicidi emulativi in tutta Europa) che innesca un meccanismo imitativo in soggetti disturbati che magari già meditavano da tempo un simile crimine. Tale fenomeno è conosciuto in psicologia ed in psicoanalisi come “immedesimazione proiettiva”; mentre in sociologia come “principio di riprova sociale”. L’intervallo durante il quale non si commettono crimini è definito “effetto fisarmonica” (ricordando il mantice dello strumento musicale che si apre e si chiude)”
Molte donne affermano che la denuncia non sia per loro una sicurezza. Lei cosa pensa a riguardo?
“L’insicurezza nasce dal fatto che purtroppo la denuncia stessa troppe volte smarrisce la sua efficacia nelle lunghe pastoie burocratiche e subisce gli intoppi dell’iter giudiziario. Oltre all’eventualità nefasta che alcune volte possa venire sottovalutata e sottostimata”
Cosa può dirci riguardo il fenomeno della “vittimizzazione secondaria”?
“Indubbiamente, molte donne ancora oggi temono gli effetti indesiderati che scaturiscono da una vicenda giudiziaria e/o addirittura da un processo. Tuttavia, allo stato attuale, vi sono molte più guarentigie procedurali che tutelano maggiormente l’immagine, l’identità e la riservatezza della vittima. Purtroppo, però, un notevole margine di sofferenza psicologica ed esistenziale si produce e si cumula a quella già patita. Soprattutto, nel nostro sistema alla luce della lunghezza biblica dei nostri processi”
Può dirci il suo punto di vista su quei casi in cui al femminicidio segue un suicidio?
“In questi casi nell’omicida è presente un’indubbia componente di patologia psichiatrica, larvata o manifesta, la quale funge da matrice dell’omicidio della donna. Il soggetto che uccide (mentalmente disturbato) si erige e si eleva, in un primo momento, a carnefice della donna ed, in un secondo, anche di se stesso”
Lei lavora non solo nel Sud Italia, ma anche nel Nord, trova ci siano delle differenze nell’approccio e nella percezione sociale del femminicidio?
“Sono meridionale doc. Tuttavia, debbo constatare come – purtroppo- nelle regioni dell’Italia settentrionale ci sia una maggiore coscienza sociale e civica del fenomeno, accompagnata, talvolta, da una più intensa attività istituzionale e civica, soprattutto in termini di sensibilizzazione. Ciononostante, l’odioso crimine del femminicidio è in genere ubiquitario, con lievi differenze statistiche. Ciò, a riprova del fatto che si tratta di un fenomeno globale che dispiega i suoi terribili effetti da Aosta a Caltanissetta”
Sara Perillo