I mezzi di comunicazione nostrani sono ben orientati sui temi da trattare e su quando poterlo fare, e dell’argomento “trivellazioni” non si parlava da mesi.
Probabilmente continueranno a non parlarne, dato che il clima post-voto è ancora nel vivo.
Noi invece, sì.
Nel Settembre 2016, il Tar del Lazio respingeva il ricorso della regione Puglia che chiedeva di fermare le ricerche petrolifere in mare, perché avrebbero ridotto la produzione ittica dell’80 per cento.
Più tardi, anche la regione Abruzzo, assieme alla Puglia e tanti altri Enti, chiese l’annullamento del parere di compatibilità ambientale rilasciato dal Ministero alla società che avrebbe dovuto occuparsi di “dare la caccia all’oro nero”, la Spectrum Geo Lfd.
Questa è tra le aziende in più rapida crescita dell’industria sismica. Fornisce innovative indagini sismiche e servizi di imaging di alta qualità (riproduzione delle onde e dei movimenti sismici), per l’industria petrolifera e del gas globale in: Regno Unito, Norvegia, Stati Uniti, Brasile, Australia, Indonesia e Singapore. Il gruppo Spectrum detiene, inoltre, la più grande biblioteca di carte sismiche al mondo.
Insomma, non proprio l’edicolante sotto casa.
Contro le sentenze di primo grado, che respingevano la richiesta di annullamento, sia l’Abruzzo, sia la Puglia, presentarono appello. Quest’ultima puntò ad un progetto di ricerca sul monitoraggio e conservazione dei cetacei in Italia, per sensibilizzare maggiormente l’argomento.
Ma anche questo secondo tentativo si è rivelato inutile.
Il Consiglio di Stato ha infatti respinto i ricorsi presentati dalle Regioni Abruzzo e Puglia contro il ministero dell’Ambiente e la Spectrum Geo Lfd così potrà riprendere le ricerche con l’air gun (mediante cannoni ad aria compressa, provoca onde sismiche sottomarine in grado di scandagliare i fondali attraverso appositi rilevatori sonori per verificare o meno la presenza di petrolio e altre risorse)
Metteteci pure che né il Ministero, né la società hanno mai chiarito quali danni porterebbe l’impiego di questi sistemi di estrazione: pare non ci siano abbastanza elementi per dire se siano rischiosi o meno.
Parliamo di un’area coinvolta di 30mila chilometri quadrati: per capirci, dall’inizio della Riviera Romagnola, alla fine del Salento!
Il comitato No Triv, nato per contrastare il modello di sviluppo basato sullo sfruttamento delle fonti fossili, promuovendo nuovi sistemi energetici, economici, sociali ma soprattutto sostenibili, ha commentato amaramente: “Rimaste ai margini della campagna elettorale, le trivelle irrompono di prepotenza sulla scena”.
La nostra domanda sorge spontanea: quando toccherà anche ai nostri mari? E ancora: siamo sicuri che non dovremmo indignarci e reagire già da subito?