Continua il nostro viaggio, grazie alla collaborazione di Raffaele Ciaglia gestore di “Le nostre Bellezze Sconosciute” e sempre alla ricerca di luoghi, delle storie e delle leggende della Campania e della Basilicata a cui ridare lustro e visibilità, nel riscoprire le tante bellezze che la storia ha lasciato sul nostro territorio.
Oggi parliamo di un qualcosa di sacro per il popolo campano: la Mozzarella di Bufala DOP e la diatriba storica tra Eboli e Battipaglia su dove sia nato davvero questo latticino.
Il vastissimo patrimonio di prodotti, di sapori e di colori che caratterizza l’agricoltura campana, ne rappresenta anche la principale ricchezza. Un patrimonio che ci è stato lasciato dai nostri avi, dalla loro cultura, dalla loro abilità, dalla loro maestria nel riuscire a coniugare sapori e saperi. Tocca alle nuove generazioni, non solo custodirlo ma anche utilizzarlo come fattore di sviluppo economico. I consumatori spostano sempre di più la loro attenzione verso un’alimentazione sana fatta di prodotti genuini, che siano anche espressione della tipicità del territorio e appare necessario spingere il processo di rivalutazione e di divulgazione del nostro patrimonio agroalimentare.
La mozzarella di bufala campana DOP è uno dei tanti prodotti di eccellenza del nostro territorio, conosciuto in tutto il mondo per le sue caratteristiche organolettiche. Dalla consultazione di svariati documenti storici, recuperati come sempre dall’Archivio di Stato di Salerno, si è potuto rivelare che la produzione e il consumo della mozzarella ebolitana risale intorno al 1300.
Infatti, Filippo Imperatore di Costantinopoli concede il vasto territorio dell’Arenosola per la produzione di questo formaggio. Inoltre, sempre in riferimento a tale periodo, si è potuto accertare che fra i latticini, è stata sempre decantata la Saporosa di Eboli (come veniva denominata la mozzarella di bufala in quel periodo). Talmente pregiate che i venditori delle medesime nella città di Napoli, spesso burlavano i compratori, impacchettando quelle di altri luoghi e spacciandole come Saporose di Eboli.
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A cura di Raffaele Ciaglia