Era il 15 aprile del 2011 quando le sorti del piccolo municipio del popolo purepecha di Cherán, nello stato messicano del Michoacán, sono radicalmente cambiate.
STORIA – Come nel resto dello Stato, a Cherán imperversava il fenomeno del disboscamento legato alla presenza dei cartelli. Negli ultimi anni, questi ultimi hanno diversificato il proprio giro d’affari. In effetti, essi non sono dediti esclusivamente al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche ad altri business come la produzione di avocado, detto l’ “oro verde del Michoacán”.
Tuttavia, per poterlo coltivare bisognava prima disboscare, facendolo a spese di un bene comune come il bosco di Cherán. Il piccolo municipio era in preda alle scorribande dei veicoli dei taglialegna abusivi che scorrazzavano a centinaia al giorno in centro città, nel silenzio delle istituzioni, sia di quelle politiche che di quelle che avrebbero dovuto assicurare l’ordine e la giustizia.
Il 15 aprile le donne decidono di gridare ‘¡ya basta!’ fermando i pick-up nella piccola piazza del Calvario, all’entrata della cittadina. Chiamata a raccolta tutta la comunità, tre dei taglialegna vennero fatti prigionieri. L’intervento della polizia e dei politici a loro favore esacerbò gli animi. La rivolta si generalizzò anche contro di loro, corrotti dai cartelli.
Per evitare il ritorno di quest’ultimi e delle forze statali, vennero accesi 189 fuochi detti fogatas, nei punti nevralgici della città. Venne anche creata una ronda comunitaria che ancora oggi rappresenta le forze di polizia di Cherán.
L’AUTONOMIA – Il caso di Cherán si differenzia da altre esperienze messicane come gli zapatisti dell’EZLN poiché i suoi abitanti hanno scelto un’altra via per poter riaffermare la propria autonomia, quella legale.
Nel 2012, il Tribunale elettorale del Messico riconosce l’autonomia basandosi sull’articolo 2 della costituzione che parla di usos y costumbres (usi e costumi). Tuttavia, non è questa la novità poiché venne già applicata ad altre realtà, come Oaxaca nel 2006. Ciò che costituisce l’originalità di Cherán è che per la prima volta, oltre al riconoscimento dei suoi usi e costumi, viene accettata la proposta di bandire tutti i partiti politici.
A partire da questa data, la comunità di Cherán si autogestisce grazie ad un fitto sistema di assemblee popolari che corrispondono a tre livelli di sistemi decisionali. Il primo è quello della fogata, il secondo quello dell’assemblea di quartiere (la più importante) e quella generale, che si riunisce quando c’è da scegliere i membri dei consigli operativi e del Consiglio maggiore.
I Consigli operativi, in numero di otto, sono incaricati della parte amministrativa, ovvero devono mettere in pratica ciò che emerge dalle assemblee di quartiere. Il Consiglio maggiore, composto da dodici k’eri, dei rappresentanti del popolo, ha una funzione politico-amministrativa, che fa da tramite tra la sfera politica delle assemblee e quella amministrativa dei consigli operativi.
Ogni consiglio operativo gestisce altre strutture, come nel caso del Consiglio dei beni comuni che controlla il vivaio, incaricato di rimboschire il bosco. Ad oggi questo ha riforestato 5 dei circa 8 mila ettari distrutti dai taglialegna. Il Consiglio delle donne gestisce la Casa della donna e il Dif, l’unità contro la violenze familiare sulle donne.
Cherán è sola la prima goccia di un fenomeno in costante espansioni in tutto il Messico. Ad oggi, le comunità indigene che hanno deciso di adottare lo stesso sistema sono ormai a decine. Cherán ha messo in discussione ciò che noi oggi chiamiamo “democrazia”, mettendo al centro l’individuo e non i suoi rappresentanti.
Ancora una volta, i popoli indigeni del Messico portano avanti una lotta costante a difesa del proprio territorio e per assicurare alle nuove generazioni un futuro più verde e sicuro.
Che sia nel Chiapas zapatista, nel Rojava kurdo, le donne sono ancora una volta alla testa di un movimento che pone le basi per un futuro diverso, senza le minacce della malavita e della corruzione delle istituzioni, ma anche mettendo a nudo l’insufficienza della centralità statale.
Cherán non è esente da problematiche, soprattutto per quanto riguarda la questione di genere. Le nuove generazioni stanno portando avanti una doppia lotta. Se da un lato difendono a spada tratta le ragioni della rivolta e rivendicano l’appartenenza ad un popolo combattivo, quello purepecha, sperano in un cambiamento non solo politico ma anche culturale, mettendo fine alle catene del patriarcato. Delle tensioni sono quindi evidenti in seno alla comunità, ma anche questo è il risultato di una realtà che cerca di aprirsi al dialogo e che non risolve i problemi a suon di carte bollate ma tramite il raggiungimento del “compromesso sociale” di tutti i suoi membri.
Francesco Mirra