BREVE STORIA DELL’AFGHANISTAN – Diciamolo subito e senza giri di parole, la presenza statunitense in Afghanistan non rispettava alcuna delle condizioni necessarie alla sua presenza sul suolo afghano. Per aver il diritto di attaccare un altro paese (leggere “invadere”) bisogna passare obbligatoriamente per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, cosa che non è stata fatta. Di conseguenza, i Paesi alleati degli USA (tra cui l’Italia) si sono catapultati in quell’angolo di Oriente senza rispettare il diritto internazionale.
Ripercorriamo allora brevemente la storia recente dell’Afghanistan per poter comprendere, almeno in parte, ciò che sta succedendo oggi non solo a Kabul, ma in tutto il Paese.
L’Afghanistan è sempre stato un territorio da conquistare o da manipolare a piacere dalle forze colonizzatrici occidentali. Quando la Gran Bretagna controllava ancora l’India, l’Afghanistan è stato sia terreno di contesa con l’impero zarista e l’URSS (quest’ultima aveva interesse ad espandersi verso l’Oceano indiano) sia come zona-cuscinetto tra questi due imperi. Nel 1979, l’URSS arriva a Kabul, ufficialmente in supporto della Repubblica Democratica d’Afghanistan, in orbita sovietica, e in chiave anti-mujaheddin (i guerrieri di Dio), finanziati dagli stessi Stati Uniti nel quadro generale della Guerra fredda. La CIA ha quindi armato, tramite il Pakistan, i mujaheddin in quella che è passata alla storia come Operation Cyclone voluta dal democratico (e premio Nobel per la pace nel 2002) Jimmy Carter. Il programma è andato avanti sotto il repubblicano Ronald Reagan (iconica la foto del presidente con i mujaheddin alla Casa Bianca) e si conclude sotto Bush padre.
Nel 1989, i Sovietici sono costretti alla ritirata e la Repubblica dell’Afghanistan cade nel 1992. Nasce così lo Stato islamico dell’Afghanistan, controllato a partire del 1996 dai Talebani (tranne il nord del Paese), i quali cambiano il nome in Emirato islamico dell’Afghanistan. L’Emirato diventa un santuario per alcune organizzazioni islamiste terroristiche come Al-Qaeda, responsabile degli attentati dell’undici settembre 2001 negli Stati Uniti, anche se Osama bin Laden (di nazionalità saudita) ammetterà totalmente la sua implicazione solo nel 2004.
GLI ULTIMI 20 ANNI – Gli Stati Uniti e i suoi alleati NATO arrivano in Afghanistan pochissimo tempo dopo gli attentati, probabilmente spinti dall’onda emotiva dell’opinione pubblica occidentale che aveva visto in diretta TV il crollo delle Twin Towers. Lo scopo annunciato è quello di smantellare le cellule di Al-Qaeda presenti in Afghanistan e di eliminare Osama bin Laden. Si tratta di un capitolo chiuso nel 2011, con l’uccisione di quest’ultimo…in Pakistan! La missione sembra allora compiuta e l’esercito americano si sarebbe potuto ritirare, invece un altro Premio Nobel per la pace, Barack Obama, decide solamente di dare un taglio – abbastanza radicale – agli effettivi presenti sul territorio. Da 130.000 si passa a 16.000 soldati che avrebbero dovuto continuare ad assicurare la stabilità del governo filoccidentale. In altre parole, quella che doveva essere una guerra in funzione anti Al-Qaeda si è trasformata in una missione contro i rappresentanti del vecchio governo di Kabul, i Talebani in nome dei valori occidentali.
Quando questi ultimi erano al governo, avevano instaurato un regime politico fondato sulla sharia, la legge islamica, decontestualizzandola dalla realtà e adattandola “alla parola di Allah”. Il ritiro totale delle truppe americane è stato un punto fisso anche della politica estera dell’ex presidente repubblicano Donald Trump. È lui che intavola i “trattati di pace” di Doha dell’anno scorso in cui Americani (e alleati), intermediari e Talebani si sono seduti intorno allo stesso tavolo per discutere i termini del ritiro delle truppe statunitensi e le condizioni in cui questo sarebbe dovuto avvenire. Di fatto, questo accordo legittima il potere dei talebani, inquadrandoli come attori principali del futuro dell’Afghanistan.
Il ritiro totale delle truppe rappresenta la prima vera mossa estera di Joe Biden e, senza dubbi, è una catastrofe militare. In questo arco di tempo, gli Americani e i loro alleati hanno speso miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare le circa 300.000 unità delle forze afghane (tra polizia ed esercito). Si trattava di una schiera di uomini più numerosa e molto meglio equipaggiata (anche con aviazione) rispetto ai Talebani ma che si è sciolta come neve al sole. In soli dieci giorni, i Talebani, che controllavano già buona parte delle zone rurali, si sono impadroniti senza combattere di tutti i principali centri del Paese. Come in un domino, sono caduti prima i centri minori, poi città intermedie come Ghazni, infine i centri principali come Kandahar (proprio dove è nato il movimento dei talebani), Lashkar
Gah, Herat (sede della base italiana), Mazar-i Sharif (che nel 1996 non era caduta), e per
concludere Jalalabad e la capitale, Kabul.
LE CAUSE DELLA CADUTA – Le cause sono innumerevoli e concatenate. Prima di tutto, l’esercito messo in piedi dalle forze NATO rispecchia la classe politica presente nel Paese, profondamente corrotta. Questa si è dovuta misurare con un movimento integrazionista, solido e intransigente sulle proprie posizioni. Un’altra causa poco messa in evidenza è il fatto che gli Afghani semplicemente non esistono, ma questo è il risultato artificioso di più popoli che abitano all’interno del confine statale: la popolazione è composta da circa 37 milioni di individui, suddivisibili in più popoli. Il più importante di questi è quello dei Pashtun, di cui la maggior parte dei Talebani fa parte, Tagiki, etnia Hazara, Uzbeki, Baluchi, Turkmeni e Aimak. La solidarietà tra i soldati che dovevano difendere la stessa bandiera era presumibilmente poca. Le cause da rintracciare possono essere tantissime, ma concludiamo con l’ultima, che inesorabilmente ci riguarda. Escludendo le ONG straniere che fanno un lavoro eccezionale sul terreno (come, ad esempio, Emergency che rimane attiva anche sotto il regime dei talebani), gli Occidentali presenti in Afghanistan sono quasi esclusivamente soldati visti come una forza d’invasione. Se qualcosina è cambiata a Kabul, poco si è mosso culturalmente nelle città di provincia. La rivitalizzazione immediata dei Talebani (che era molto prevedibile, tranne evidentemente per l’intelligence occidentale) ha un supporto reale nel Paese; l’avanzata sarebbe stata impossibile senza il consenso di una larga fetta della popolazione locale, soprattutto lontana dai grandi centri abitati.
Bisogna quindi capire il grosso errore fatto dall’Occidente, presentarsi come forza civilizzatrice in terra lontana e, ancor peggio, esclusivamente attraverso il suono dell’artiglieria. È praticamente un ossimoro che dovrebbe farci riflettere. Infine, sembra interessante sottolineare come i Paesi occidentali siano già in coalizione con alcuni Paesi che applicano la sharia, le cui vittime sono soprattutto le donne. Vendiamo ancora armi all’Arabia Saudita e ad altri Paesi del Golfo che hanno la sharia nella propria costituzione. A conclusione dell’articolo e di una guerra che ha comportato la morte di duecentomila persone, mi piacerebbe riportare una frase di Tiziano Terzani: “eppure l’Afghanistan ci perseguiterà perché è la cartina di tornasole della nostra immoralità, delle nostre pretese di civiltà, della nostra incapacità di capire che la violenza genera solo violenza”.
Francesco Mirra