In Italia gli stipendi sono diminuiti del 2,9 percento in trent’anni, relegando il Bel Paese all’ultimo posto nella classifica sulla crescita dei salari europei dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Al primo posto la Lituania, che come tutti i paesi baltici ha visto un’impennata nell’economia interna ed è cresciuta del 276 percento in trent’anni.
Anche Francia e Germania hanno fatto molto meglio in queste ultime tre decadi: +31 percento la prima e +34 la seconda. Persino la Grecia, ha avuto una crescita media degli stipendi del 30 percento. La Polonia è cresciuta del 96 per cento. L’Irlanda dell’85, la Svezia del 63. La Spagna, seppur in fondo classifica presenta una percentuale in positivo con il +9 percento.
Il salario minimo in Italia non è definito. In 21 dei 27 paesi dell’Unione Europea invece c’è e funziona. Secondo i dati Eurostat, in Lussemburgo è addirittura di 2.250 euro, in Irlanda è di 1.750, in Slovenia di 1.074, poco meno che in Spagna. In Italia, il governo Amato nel 1992 abolì l’adeguamento degli stipendi all’inflazione.
Dunque per i nati dopo il 1986, la situazione in Italia è pessima: i loro stipendi sono i più bassi della storia del Paese e le previsioni per il PIL del 2022 gli fanno perdere punti percentuali a vista d’occhio. L’economia italiana arranca.