Ivan Romano, fotogiornalista di Salerno con il suo progetto sui lavoratori è stato coinvolto nella pubblicità della “Barilla – All’Italia” pubblicata solo sabato 4 Aprile, una pubblicità che con la voce di Sophia Loren ha saputo cogliere l’anima di una resistenza silenziosa e costante che si muove nelle aziende e nelle attività del nostro paese, un insieme di lavoratori, imprenditori e operai che resistono, in un paese in lockdown. Ed in quelle foto che scorrono alla fine del minuto c’è un po’ del lavoro di Ivan, che riprende un ragazzo di Salerno intento a lavorare nella sua azienda.
CHI E’ IVAN – Ivan Romano è un fotoreporter salernitano. Il suo lavoro ha come principali tematiche: politica, crisi umanitarie, ambiente e aspetti sociali. Ha realizzato reportage sulla questione migratoria in Italia e all’estero e documentari di fotografia antropologica sulle tradizioni popolari dell’Italia meridionale.
Dopo una lunga esperienza con redazioni e agenzie locali che gli hanno permesso di ottenere pubblicazioni su quotidiani come: Corriere della Sera, Il Mattino e Gazzetta dello Sport e una parentesi nel progetto indipendente di collettivo giornalistico Freelance News, è entrato a far parte dell’agenzia Getty Images per la quale produce lavori fotogiornalistici e commerciali dal luglio 2014. Vanta anche pubblicazioni sui principali magazine italiani ed internazionali tra i quali: New York Times, Time, Life, National Geographic, CNN, TheGuardian, Der Spiegel, Daily Mail, The Sun, El Pais, Le Monde, Fox News, Vogue, Eurosport, Rolling Stones, Internazionale, L’Espresso e molti altri.
Abbiamo raggiunto al telefono Ivan per chiedergli com’è stato vedere il proprio lavoro coinvolto in un inno alla resistenza così forte e così fortemente apprezzato.
- Il tuo progetto sui lavoratori è stato convogliato nella pubblicità Barilla, com’è nato?
Con l’agenzia stiamo seguendo l’emergenza, qui al Sud per fortuna non ci sono situazioni gravi come al nord. Con il foto editor ci siamo interrogati su come raccontare questa storia. Sappiamo che al Sud c’è un po’ di resistenza circa le fotografie intime e faccio riferimento a lavori che sono usciti dalle zone rosse del nord, esempio quello svolto con Fabio Bucciarelli per il New York Times. Allora abbiamo pensato di concentrarci sui lavori, quelli ritenuti strategici e quindi non colpiti dal lock down. Si lavora per raccontare un’Italia, quella dei lavoratori che si svegliano tutte le mattine e tra preoccupazioni, difficoltà ed un futuro incerto stanno garantendo forniture, alimenti, la stessa sanità, il reparto bancario e del credito. Una bella storia per aprire dei topic e per testimoniare che ci sono delle persone che riempiono le strade ma per andare a lavorare.
(A questo proposito, vi consigliamo di leggere anche la storia di Antonio —> QUI)
- Com’è stata la tua collaborazione per la pubblicità?
L’agenzia che stava curando per Barilla la pubblicità mi ha contattato, senza dirmi per cosa fosse, mi hanno chiesto se avevo le liberatorie di utilizzo fotografico di alcune immagini del mio lavoro. Noi facciamo contenuti fotogiornalistici quindi non raccogliamo le liberatorie, perché a scopo giornalistico non è richiesta. La referente della campagna pubblicitaria ha cominciato a chiedermi se fosse possibile recuperare i nomi e le relative liberatorie dei soggetti fotografati. A questo punto ho intuito che c’era la possibilità che alcune foto potessero essere utilizzate per una pubblicità. La foto l’hanno scelta loro, inizialmente erano interessati all’immagine di un fruttivendolo ci Cetara, poi nelle varie riunioni si sono invece orientati su quella di Stefano Simone della W2D srl di Pellezzano (SA). Il soggetto al centro dell’immagine e questo contesto ampio alle spalle che un po’ ricorre anche nelle altre immagini scelte poi dal marchio italiano per lo spot.
- L’importanza del Foto-giornalismo in momenti difficili come questo, la tua idea rispetto alla capacità di quest’ultimo di formare una memoria storica.
Ritengo che il giornalismo ed il foto giornalismo sono fondamentali soprattutto nei regimi democratici. Lo stesso Presidente del Consiglio Conte ha più volte ribadito l’importanza anche di tutta la filiera dell’informazione. In Italia abbiamo avuto un po’ di difficoltà a raccontare questa vicenda della pandemia all’inzio, ed ancor di più al sud. I lavori sulla zona rossa, le foto anche crude e faccio tre nomi su tutti:
- “Trasportiamo Morti Dalla Mattina Alla Sera “ di Fabio Bucciarelli – pubblicato sul The New York Times e sull’Espresso;
- “Eye of the storm” di Alex Majoli – su Vanity Fair;
- “Colpiti, non battuti” di Gabriele Micalizzi – su Rolling Stone Italia
Sono lavori che hanno fatto vedere la dimensione tragica della storia, le fasi estreme con i respiratori, le terapie intensive e purtroppo anche le bare. Queste foto, hanno reso pubblica la storia ed ha permesso un cambio di atteggiamento anche da parte degli altri paesi. Pongo io una domanda: se questi lavori fossero usciti prima dall’Italia, alcuni paesi anche europei avrebbero avuto lo stesso atteggiamento morbido?
Qui si ritorna all’estrema importanza del foto-giornalismo e del giornalismo, perché anche far vedere una foto forte come quelle del lavoro di Bucciarelli per esempio, è necessario per far arrivare la gravità della situazione. Per fare questo tipo di lavoro i fotoreporter devono avere tempo, perché il punto non è, come a volte erroneamente si pensa, andare in un posto- scattare due foto – ed andare via. Serve parlare con le persone, entrare in empatia, capire il problema, capire come raccontarlo e poi raccontarlo.
- In queste tue parole c’è una critica a questo nuovo giornalismo che con l’ausilio dei social rende tutti fotoreporter se muniti di uno smartphone?
Ricordo una vecchia trasmissione di Enzo Biagi, che invitò Pier Paolo Pasolini insieme a suoi vecchi compagni di scuola a parlare del personaggio PPP e si dibatté (era servizio pubblico della rai nemmeno 50 anni fa – siamo ben lontani dai contenitori televisivi di oggi.) in quella trasmissione di televisione. Pasolini ammise di non essere libero di esprimersi perché dall’altra parte dello schermo c’erano delle persone che per tutti una serie di motivi, avrebbero potuto avere difficoltà a capire quello che diceva. Tornando a noi, oggi il vero problema è che c’è l’errata convinzione che tutti possono dare notizie. Purtroppo l’esperienza fatta sul campo, quella che ti porta ad avere una crescita graduale, ti aiuta a raccontare. Un giornalista/fotoreporter non può essere amatoriale perché chi si presta ad un giornalismo legato al click o sensazionalistico, non dedica molto tempo alla notizia perché ha un’altra esigenza ha quella della velocità. La velocità ti preclude l’indagare in maniera onesta offrendo un servizio onesto.
- Tu sei di Salerno e vivi a Pontecagnano Faiano hai notato una sensibilità diversa rispetto al farsi o meno fotografare?
Quello che io vedo in questa storia, è che al nord si è prodotto e si è raccontato dentro le case delle persone malate, dentro le terapie ed i reparti. Al Sud questo ancora non si è verificato. Ovviamente questo però è da rapportare alla dimensione dell’emergenza che il nord del paese ha vissuto e continua a vivere. Per esperienza diretta posso dire che qui da noi c’è una cultura legata al giornalismo che vede il giornalismo non come un’attività etica e necessaria come servizio pubblico, ma ancora come una proiezione amicale. Tu sei amico di Tizio, siccome sei amico mio allora hai accesso ad una storia. Ho avuto delle resistenze e difficoltà e l’ho avuto soprattutto perché nel momento in cui occorre avere delle autorizzazioni diventa difficile. Lo diventa non solo per la questione del sistema amicale, ma anche perché purtroppo anche tra noi fotoreporter c’è stato per anni un atteggiamento da caccia alle streghe, da fotografia scattata in un minuto, senza approfondire. Questo fa sì che ci siano gli scandali che poi si disinteressano di indagare a fondo la questione che si pubblica accontentandosi del video/foto che fa vendere in quel momento. Altro problema che ricorre nella società italiana ma al Sud di più è che essendo una società individualista, quando vai a raccontare qualcosa di collettivo, si creano delle resistenze per paura che chiamando il giornalista X, l’amico o il fotografo Y qualcuno possa pensare che in quel tipo di atteggiamento poi ci sia il tentativo di esprimere la propria individualità. Problema della società del Sud è che per evitare che ci siano dissapori si evita di raccontare una vicenda dando visibilità ad una storia.
- Secondo il tuo punto di vista esistono delle storie che non vanno assolutamente raccontate?
Qui andiamo sull’attività netta, penso anche a situazioni come i suicidi. Penso sia giusto parlarne ma ogni caso ha la sua specifica e si deve sempre rispettare un racconto che sia etico e non superficiale e prodotto dalla fame di notorietà. Altra fase è il rapporto tra chi racconta e chi viene raccontato. Io penso che la stampa debba essere ficcanaso e debba entrare in quegli spazi d’ombra che spesso restano tali. Bisogna saperlo fare perché altrimenti si rischia di essere definiti degli sciacalli.
- Domenica 5 Aprile su Il Mattino è uscita un’intervista al filosofo Aldo Masullo . In questa intervista Masullo ammette che secondo lui non impareremo nulla dai nostri errori e che questa vicenda della pandemia passerà ma senza lasciarci arricchiti rispetto agli errori commessi. Tu cosa ne pensi?
La domanda che mi piacerebbe da giornalista porre è: che ci sarà dopo? Se dopo questa pandemia ci sarà ancora il coraggio di fare tagli alla sanità e all’istruzione. I medici ed i virologi che stanno lavorando sono persone che si sono formate nel nostro sistema universitario e mi auguro anzi che si aprano le università a numero chiuso, soprattutto nelle facoltà di medicina. Dobbiamo evitare che si dimentichi. Una responsabilità che spetta ai giornalisti/foto-giornalisti, in un momento di forte crisi dell’editoria che si trova a dover competere con il professionista della fake news, che con tre parole ti può dissacrare una scelta politica. Il problema è che informare in modo corretto richiede tempo e le persone sui social il tempo non lo concedono, ripubblicano ma non leggono il contenuto degli articoli. In questo condanno una parte della stampa che per mantenere quote di mercato mette titoloni ruba-click.
- Il ruolo dell’informazione è importante, ma occorre di più?
Forse è il momento di fare anche un passo indietro; vuoi essere informazione, vuoi essere stampa? Ok! Ma non puoi essere libero su internet, perché se sei libero su internet non puoi mantenere degli standard di qualità. Meglio far pagare a tutti 1 centesimo di euro che invece puntare ad un élite che può comprarti ma che ovviamente è élite. Il futuro deve avere due strade: investire sulla sanità ed istruzione e soprattutto bisognerebbe regolare le fonti di informazioni. Serve una legge che rispetti la libertà di stampa. Non tutti possono dare una notizia, un giornalista che guadagna 5 euro per il suo articolo o Zero, non può fare il suo lavoro come chi guadagna 50, 100 o 150 euro.
Matteo Zoccoli