Domani 17 Aprile i cittadini sono invitati a recarsi alle urne per rispondere all’ormai famoso (ma non troppo) quesito referendario sulle trivellazioni pretolifere in acque nazionali entro le 12 miglia marine.

Tralasciando i segnali lanciati, nemmeno troppo velatamente, da personaggi del calibro di Renzi e Napolitano (che non si sa per qual motivo venga interpellato) che spingono verso l’astensione, i finti buoni samaritani della politica dell’ambientalismo sono già lì pronti, per la grande pantomima della “partecipazione”: “Tutti a votare SI contro le trivellazioni…”, ci dicono in coro. Peccato che si tralasci il fatto che l’unico quesito referendario ammesso alla consultazione riguardi il periodo di concessione dei permessi di estrazione di gas e petrolio in mare, con una domanda che recita più o meno così: “Vuoi che le compagnie petrolifere non continuino ad estrarre gas e petrolio nei pozzi già attivi in mare entro le 12 miglia marine anche dopo la fine del periodo di concessione del permesso?” . Nulla si dice circa i permessi sulla terra ferma già esistenti e su quelli a venire, nulla su quelli a mare già esistenti o a venire oltre le 12 miglia. Vi sembra che rispondere a questo quesito risolva la questione?

Un tale diceva: “I referendum sono lo strumento per eccellenza per esercitare la democrazia”. In verità, completamente scevro da qualsiasi velleità di democrazia diretta, il mezzo referendario, lungi da voler scavalcare o depotenziare il potere legislativo/esecutivo, per riconsegnarlo alla gente, è in realtà il suo potenziamento e la sua riconferma, specie se puntualmente i risultati dei referendum non vengono rispettati, come ad esempio i quesiti referendari dell’86 sul nucleare che sono stati vinti, ma ciò ha impedito che si provasse ad introdurre il nucleare in Italia (scongiurato dalla tragedia di Fukushima) solo qualche anno fa? Oppure i quesiti di matrice radicale del 1993 in materia di finanziamento pubblico ai partiti ( il 90.7% dei votanti ha deciso di abrogare la norma che prevedeva il finanziamento pubblico ai partiti, ma con la legge n.515 del 10 Dicembre dello stesso anno, il Parlamento trasforma il “finanziamento” in “contributo”, distribuito in base al numero di aventi diritto al voto e al numero di eletti di ogni singola lista) e di abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe (il 55,40% votò per il SI, e dunque per l’abrogazione, mentre sappiamo quant’è inutilmente repressiva oggi giorno la guerra alle droghe cosìddette “leggere”). Oppure il quesito del 1995 sulla Privatizzazione della RAI, dove il 54.90% degli italiani voterà in favore di quest’ultima, attraverso l’abrogazione della norma che la definisce come “pubblica” (così com’è ancora oggi). Il referendum sull’acqua pubblica è stato vinto. Ma l’acqua come bene primario, oggi lo è?

Se ci si riferisce ai mezzi di comunicazione, sappiamo bene come essi funzionino, così come sappiamo che parecchie aziende del settore energetico contribuiscono a definire bilanci, e quindi contenuti, delle testate giornalistiche e dei canali tv.

Ebbene, quando il quorum non sarà raggiunto; quando sarà raggiunto ma avrà vinto il NO; quando sarà raggiunto il quorum, avrà vinto il SI, ma verrà disatteso; quando gli “interessi nazionali” (che poi guarda caso, coincidono sempre con gli interessi dei grandi imprenditori/industriali), abrogheranno ancora una volta quella “vittoria” referendaria, o semplicemente proveranno a materializzarsi per scavalcare i territori e la vita di chi li abita, come fanno tutti i giorni in ogni parte del mondo in favore del profitto. Quel giorno, che è già stato ieri, è oggi e sarà domani, resterà intatta la nostra volontà di informare, e nel nostro piccolo, di cambiare le cose.

Fonte: NoTriv

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