Il gennaio del 1968 nell’URSS è segnato dal processo contro quattro dissidenti di Mosca: Aleksandr Ginzburg, Jurij Galanskov, Aleksej Dobrovol’skij e Vera Laškova, tutti accusati di agitazione e propaganda antisovietica a causa dei loro scritti. Questo processo provocò l’insorgere di numerose proteste, per lo più tramite lettere aperte dove ci si chiedeva se il paese stesse effettivamente tornando indietro ad una sorta di stalinismo.
È importante tener presente che questi eventi si svilupparono in parallelo con quelli della Cecoslovacchia, dove stava prendendo piede la strada della democrazia e delle riforme.
PAVEL LITVINOV – Una delle figure maggiori del periodo, Pavel Litvinov – fisico russo, scrittore, attivista per i diritti umani e dissidente sovietico – ebbe soprattutto il merito di lanciare un appello alla comunità mondiale associato al “Processo dei quattro“. Fare ciò significava rompere il tabù del “не выносить сор из избы”, ossia “Non portare l’immondizia fuori dall’izbza” – equivalente russo del nostrano “I panni sporchi si lavano in famiglia”. In pratica, per quanto potessero esistere contrasti all’interno della comunità sovietica si aveva la consapevolezza dell’unione incondizionata contro tutto ciò che esisteva al di là del popolo sovietico. Questo fu quindi un duro colpo alla psicologia della cortina di ferro, il che contribuì all’ondata di proteste che caratterizzarono l’anno seguente, il 1968. A queste proteste parteciparono “solo” poco più di 700 persone, ma per l’URSS era un numero di protestanti altissimo.
Tutto ciò sembrò però aver fine nella notte tra il 20 ed il 21 agosto del 1968, quando i carri armati sovietici apparvero a Praga. La grande delusione e la perdita di speranza nell’evoluzione del regime sovietico infersero una profonda ferita.
LA DIMOSTRAZIONE DEI SETTE – Uno degli eventi maggiormente rilevanti di questo periodo fu, senza dubbio, la dimostrazione del 25 agosto del 1968, anche nota come “Dimostrazione dei sette”. Tenuta da un gruppo di dissidenti sovietici sulla Piazza Rossa (Mosca), il suo fine era quello di protestare contro l’intervento militare sovietico in Cecoslovacchia, avvenuto il 20 agosto per porre fine alle riforme politiche della Primavera di Praga. Si trattava di Konstantin Babickij, Larisa Bogoraz, Natal’ja Gorbanevskaya, Vadim Delone, Vladimir Dremljuga, Pavel Litvinov e Viktor Faynberg.
La dimostrazione si svolse presso il Lobnoe Mesto. I manifestanti, esattamente alle 12 del pomeriggio, esposero i loro striscioni con vari slogan, il più significativo dei quali fu «За вашу и нашу свободу!», ossia «Per la vostra e la nostra libertà!» di Natal’ja Gorbanevskaya – in passato slogan dei ribelli polacchi che avevano lottato per la libertà della madrepatria, una non troppo velata accusa alla Polonia, quindi, dal momento che insieme alle truppe dell’esercito russo entrarono in Cecoslovacchia anche soldati dell’esercito polacco. Dopo pochi minuti, i manifestanti furono fermati dalla polizia e dagli agenti del KGB in borghese che stavano pattugliando la Piazza Rossa, picchiati e portati alla stazione di polizia, seguiranno poi i processi.
Una delle manifestanti, Natal’ja Gorbanevskaya, fu autrice di Полдень: Дело о демонстрации 25 августа 1968 года на Красной площади (Mezzogiorno. Il caso della dimostrazione del 25 agosto 1968 sulla Piazza Rossa) un testo-documentario che ricrea la cronaca degli eventi di quel giorno e raccoglie tutti i materiali relativi al corso dell’indagine e alla condanna di questo processo politico. Il testo fu tradotto nelle principali lingue europee, nell’URSS fu pubblicato in forma di samizdat nel 1969.
A seguito della Dimostrazione sul giornale di Praga «Literární listy» fu scritto:
«Sette persone nella Piazza Rossa sono almeno sette ragioni per cui non potremo mai odiare i russi»
Inizialmente quel gesto fu considerato da tutti una follia, un “errore tattico”, ma l’opinione pubblica cambiò anche grazie all’intervento di Anatolij Jakobson, pubblicista dissidente, attraverso la lettera pubblicata nelle ultime pagine di Mezzogiorno di Gorbanevskaja.
Ciò che di più importante viene da lui sottolineato nella lettera è come:
«Dopo il processo di Andrej Sinjavskij, e Julij Daniel’, dal 1966, non si svolse nessun atto di arbitrarietà e violenza delle autorità senza protesta pubblica, senza una degna risposta. Questa è una tradizione preziosa, l’inizio dell’auto-liberazione della gente dall’umiliante paura, dal coinvolgimento nel male».
Francesco Albanese