Tutela dell’ambiente e la “Plastic tax”: scopriamo nel dettaglio cos’è e come funziona

Nei caldi giorni della Manovra Finanziaria in particolare un aspetto sta creando contrasto e dissenso in seno alle forze politiche. Si tratta della cosiddetta Plastic Tax, la misura che dovrebbe finalmente permettere anche all’Italia di dare il suo impulso nella lotta contro l’inquinamento ambientale, andando a tassare i cosiddetti Mics, ovvero i manufatti in plastica con singolo impiego.

La misura recepisce la Direttiva europea 2019/904 per la riduzione della plastica, la cosiddetta SUP (single use plastics) di cui già ci siamo occupati qualche mese fa https://angolodiphil.it/il-destino-dei-prodotti-in-plastica-monouso-dai-nostri-mari-allestinzione/. Molto brevemente la Direttiva UE che fa parte della Strategia europea sulle materie plastiche, obbliga gli Stati ad eliminare entro il 2021 i beni in plastica che non possono essere sostituiti in nessun modo e ad individuare gli obiettivi e le modalità di riduzione di quelli non ancora facilmente sostituibili attraverso piani nazionali da comunicare alla Commissione entro due anni dall’entrata in vigore della Direttiva.

 

In che modo l’Italia sta procedendo al recepimento della SUP? – Come detto è attraverso la Plastic tax che lo Stato italiano intende procedere alla eliminazione/riduzione dei prodotti in plastica altamente inquinanti. Ma vediamo cosa prevede nel dettaglio la misura oggetto di discordia soprattutto tra Di Maio e Renzi. Nel dettaglio è previsto il prelievo di 1 euro per ogni chilogrammo di plastica dei manufatti monouso quali:

  • Buste;
  • Bottiglie;
  • Vaschette in politene;
  • Tappi e altri materiali plastici utilizzati come protezioni e imballaggi.

Come chiarito dal Ministro dell’Ambiente Costa sono state escluse dalla tassazione le plastiche riciclabili e compostabili che dopo la loro degradazione diventano terriccio e sono stati previsti incentivi per quelle imprese pronte a convertire la loro produzione verso questo tipo di plastiche.

In realtà la SUP prevede ulteriori prodotti quali: bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, aste da attaccare a palloncini (esclusi quelli per uso industriale) cui non fa nessun riferimento la nostra Plastic Tax. Già questo ci indurrebbe a pensare che la manovra varata non abbia tanto di mira la riduzione dell’inquinamento dovuto a prodotti in plastica. Trattandosi di una vera e propria tassazione ci viene il dubbio che lo scopo reale sia quello di “fare cassa”. In effetti la stessa Relazione tecnica al Ddl di Bilancio chiarisce che la manovra permetterebbe entrate nelle casse dello Stato, ma non una reale riduzione dell’uso della plastica. Nello specifico sarebbero previste entrate di circa 1 miliardo nel 2020 e di circa 2, 2 miliardi negli anni successivi, garantendo entrate costanti per i prossimi 4 anni. Inoltre, ancora la Relazione tecnica dell’Erario afferma che non è sufficiente la Plastic Tax perché vi siano effetti positivi sull’ambiente, ma sarà necessario prevedere anche un credito d’ imposta per chi riconverte gli impianti di produzione di prodotti biodegradabili e compostabili.

Il punto di vista delle Associazioni di categoria– Ma non è soltanto questo il punto controverso della Plastic Tax. E’soprattutto dal mondo delle Associazioni di categoria che vengono le critiche più dure e forse anche più concrete. Preoccupata dell’impatto negativo che la tassazione potrà avere sui cittadini, la Federconsumatori prevede un  aumento di 138 euro per famiglia; allo stesso modo il Codacons ha affermato che l’ aumento per le tasche degli italiani potrà sfiorare i 165 euro. In soldoni la misura andrebbe a cagionare un danno tanto alle imprese produttrici (soprattutto le piccole e medio imprese), quanto ai singoli cittadini, riguardando soprattutto quei beni di consumo primari come quelli usati nell’ambito alimentare.

Quali alternative? – Ad una prima lettura della bozza della Plastic Tax ci sembra che l’obiettivo principale sia rimpinguare le casse semivuote dello Stato italiano. Dunque ci domandiamo e vi domandiamo se ci sono delle alternative che effettivamente possano ridurre l’utilizzo della plastica monouso e i suoi effetti devastanti per l’ambiente. Sicuramente in un Paese come l’Italia sofferente per la forte presenza di evasori e soprattutto debole per la presenza di piccoli consumatori che purtroppo vivono in condizioni economiche precarie, avrebbero maggiore successo misure premiali piuttosto che sanzionatorie. Mi riferisco, per esempio, non solo ad incentivi per piccole e medio imprese che convertano la loro produzione in plastiche biodegradabili e compostabili, ma anche incentivi per quegli esercizi commerciali che vendono “alla spina” prodotti come detersivi e beni alimentari, ovvero che allestiscono distributori cui ciascun acquirente può rifornirsi usando dei propri contenitori andando così ad eliminare gli imballaggi in plastica. Ed ancora mi riferisco agli incentivi sull’ introduzione di distributori automatici di bevande, snack e caffè completamente plastic free. Esempio virtuoso di economia circolare e non lineare è quello della Coca Cola che si è posta l’ obiettivo di passare dall’attuale bottiglia in PET composta da un 10 % di rPET, ad una con il 25% per il 2025, sino ad arrivare una quota di rPET per bottiglia nella misura del 50% per il 2030.

Ma non è soltanto sul piano della produzione e del consumo che si può operare, è anche il campo della ricerca che avrebbe bisogno di maggiori incentivi, soprattutto considerando che ad oggi non tutti i prodotti in plastica sono sostituibili. Inoltre è bene ricordare che molti incentivi provengono da programmi europei quali Life, rientranti nella strategia Europa 2020 cha vanno a finanziare progetti e best practies che abbiano un impatto positivo sull’ ambiente, quindi non solo sulla riduzione e riutilizzo dei prodotti in plastica e degli altri rifiuti, ma che incidano anche sulla riduzione delle emissioni di Co2, sulle risorse sostenibili, sul risparmio idrico, sull’ uso efficiente delle risorse, sull’ efficienza energetica dei processi produttivi, ecc.

Infine, sarebbe auspicabile l’applicazione di misure sanzionatorie per chi effettivamente cagiona o ha cagionato danni alle specie e agli habitat naturali protetti, all’acqua e al suolo. A tal proposito la Direttiva sulla responsabilità ambientale sancisci il principio “chi inquina paga”, volendo colpire gli operatori che esercitano talune attività professionali quali il trasporto di sostanze pericolose, o attività che comportano lo scarico in acqua, che pertanto sono tenuti ad adottare misure preventive.

Sara Perillo

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