“Chi di spada ferisce…”. Distrazione tra realtà e finzione.

La superficialità dei mezzi d’informazione nostrani si palesa ancora una volta ad una velocità sconvolgente – ma prevedibile – nella vicenda che rimette sotto i riflettori la Capitale “malavitosa”, con l’aggiunta del trittico Ostia-CasaPound-Spada. D’altronde su Roma Caput Mundi ce ne sarebbe da dire: non dimentichiamoci che è pur sempre al centro del mondo e fa parlare di sé da oltre duemila anni.

Nel dibattito di questi giorni uno tsunami di luoghi comuni e banalità si è abbattuto contro le deboli menti tricolore che sono abituate – da troppo tempo ormai – a non andare a fondo nelle cose, a meno che non si tratti di cronaca nera, tema preferito dai nostri media contemporanei.

Ma andiamo per gradi.

Ostia, decimo municipio di Roma, è salita alla ribalta della cronaca nostrana poiché, alle ultime elezioni, il partito neofascista Casapound ha raggiunto il 9,08% dei voti, corrispondenti a 5.944 preferenze, da attribuire al candidato Luca Marsella. Cifre indubbiamente significative (sette punti e mezzo rispetto alle comunali del 2016), ma solo perché questi ultimi non ci hanno mai abituato a grossi consensi, viste le visioni – passatemelo – a dir poco estremiste. Per non parlare del fatto che a Ostia ha votato poco più del 36% degli aventi diritto al voto, ovvero 185mila su circa 250mila residenti.

Insomma, un risultato inatteso, ma non stiamo parlando esattamente della Catalogna.

Come sia arrivato a questo risultato non è un mistero ma la capacità dell’opinione pubblica di sorprendersi per l’ormai consueto voto di scambio è a dir poco strabiliante: pacchi regalo, presunto presidio degli “affiliati” di Casapound – di cui parleremo dopo – davanti ai seggi e non ultima l’opposizione attiva proprio dei militanti ad alcuni sfratti a Nuova Ostia per delle famiglie in difficoltà. La regola generale in questi casi recita che, laddove uno Stato sia apparentemente assente e non faccia gli interessi della collettività, ad esso si sostituisca un controllo parallelo, ben visibile agli occhi degli abitanti, che raccolga consensi poiché presente in prima linea – almeno in superficie – nelle battaglie a difesa della comunità. Poco importa se questo pseudo-stato comprenda personaggi di dubbia moralità e abbia traffici non propriamente legali. Ed è qui che entra in gioco il protagonista principale della vicenda: Roberto Spada, titolare di una palestra di boxe a Nuova Ostia, incensurato – fino all’ormai celeberrima testata al giornalista RAI Daniele Piervincenzi – fratello del boss Carmine Spada, condannato in primo grado a dieci anni di carcere per tentata estorsione, attuata con metodo mafioso, ad un tabaccaio di Ostia. Considerato, un vero e proprio clan, gli Spada sono una famiglia sinti, discesa dall’Abruzzo intorno agli anni cinquanta, accusata – solo? – di aver appoggiato i neofascisti di Casapound, come confermato in alcune interviste proprio dallo stesso Roberto Spada.

Come questa famiglia si guadagni da vivere non è affar nostro e anche se le proprie entrate sembrano non essere del tutto pulite, come in tante occasioni, si trovano a prendere parte – inconsapevolmente oppure no – al teatrino mediatico italiano.

Una grande pantomima fatta di capri espiatori a cadenza mensile – nel peggiore dei casi settimanale – dove il “bullo” di turno viene descritto come il male assoluto, colpevole di tutte la malefatte italiane, responsabile del degrado e della decadenza morale e culturale di questo paese: ricordate Genny a’ carogna, Ivan Bogdanovic, o i Casamonica e Massimo Carminati – giusto per restare in tema “Mafia Capitale” – e potrei continuare all’infinito. Non ce ne voglia il povero giornalista di Nemo, che ha solo pagato le conseguenze dell’intromissione negli affari altrui che mixano, da sempre, politica, corruzione e malaffare.

E come in un macabro parallelo tra fiction e realtà, la vicenda accade a pochi mesi di distanza dall’uscita della serie Suburra, esclusiva Netflix che, sulla falsa riga di Romanzo Criminale prima, e Gomorra poi, rappresenta degli spaccati dell’Italia che vorremmo spesso dimenticare ma che ci sono: l’entertainment, si sa, non deve educare, quello compete a famiglia e scuola.

E poi Suburra alla decima puntata finisce, mentre la realtà non si conclude con uno spettacolare finale di stagione.

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