Femminicidio, la pandemia degli uomini che odiano le donne: “l’8 Marzo… lotto ancora?”

Roberta Ragusa, 17 anni. Caccamo (Palermo)

Roberta Ragusa, vittima di femminicidio

Il 24 gennaio 2021 viene rinvenuto in una scarpata il suo corpo parzialmente carbonizzato, nudo nella parte superiore, con i pantaloni abbassati, una ferita al cranio, il volto tumefatto e i capelli semi rasati o probabilmente bruciati.

Sarà necessario l’intervento dei vigili del fuoco per recuperare i resti.

Il killer presunto è Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato di Roberta.

È lui a condurre gli inquirenti sul luogo del in cui riversa il corpo.

La sera precedente la coppia aveva avuto una violenta lite, come testimoniano amici della coppia. Negli ultimi mesi erano soliti avere questo tipo di scontri tanto da far maturare nella Ragusa il desiderio di lasciarlo.

Il ragazzo viene accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Morreale si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Teodora Casasanta, 39 anni, e Ludovico Ricco, 5 anni. Carmagnola (Torino)

Teodora Casasanta, vittima di femminicidio

Nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 2021, la trentanovenne e suo figlio vengono uccisi con, rispettivamente, 15 e 8 coltellate mentre sono nel loro letto.

Il killer è Alexandro Vito Riccio, 39 anni, marito e padre delle vittime.

L’uomo, dopo le coltellate, si è accanito sui corpi di Teodora e Ludovico colpendoli con oggetti presenti in casa, tra cui, il televisore.

Poco dopo tenterà il suicidio tagliandosi le vene e lanciandosi dal balcone. Sopravviverà.

Dalle indagini effettuate dagli inquirenti si scoprirà che la Casasanta aveva deciso di separarsi dal coniuge.

Convalidato l’arresto, Riccio è accusato per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

Sonia Di Maggio, 29 anni. Specchia Gallone di Minervino di Lecce (Lecce)

Sonia Di Maggio, vittima di femminicidio

Muore in un lago di sangue a causa delle numerose coltellate sferrate dall’ex compagno, Salvatore Carfora di 39 anni, la sera dell’1 febbraio 2021, mentre passeggia con il suo fidanzato.

Sonia si trovava a Specchia Gallone per conoscere la famiglia del compagno. Carfora, residente a Torre del Greco, ha raggiunto la coppia per vendicarsi.

Solo nel giugno scorso, il trentanovenne era stato dimesso dall’ospedale psichiatrico di Aversa (NA).

Già condannato nel 2011 per aver accoltellato nel un parcheggiatore abusivo, Carfora, dopo la fine della relazione con la Di Maggio ha perseguitato e minacciato la coppia. Sonia non ha mai denunciato per paura di ritorsioni.

Accusato di stalking e omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, Salvatore Carfora ha dichiarato che “Sonia non doveva permettersi di rifarsi una vita con un altro uomo e, se fosse rimasto in libertà, avrebbe ucciso anche il nuovo compagno”.

Ilenia Fabbri, 46 anni. Faenza (Ravenna)

Ilenia Fabbri, vittima di femminicidio

Aggredita da uno “sconosciuto” a cui ha aperto la porta di casa, muore per procurata ferita profonda alla gola il 6 febbraio 2021.

Si tratta di Pierluigi Barbieri, 52 anni. L’uomo è stato pagato per commettere l’omicidio da Claudio Nanni, 53 anni, ex marito della vittima.

Nanni, nel 2017 riceve una procedura penale per l’aggressione ai danni di Ilenia, dopo averla afferrata alle spalle e sbattuta con forza con la testa contro il muro. Non la prima aggressione, ma la prima che ha avuto un proseguo dopo la denuncia. Nello stesso anno, infatti, la Fabbri aveva già denunciato l’uomo per maltrattamenti il cui procedimento, però, fu archiviato a causa di mancanza di precedenti penali nei confronti del cinquantatreenne.

Nanni covava rancore nei confronti dell’ex moglie sia a causa della separazione che per il contenzioso economico in corso: Claudio Nanni doveva risarcire ad Ilenia circa 500 mila euro per la perdita della proprietà della casa.

Alcuni testimoni riferiscono di aver sentito Nanni dichiarare che “se continua così, prima o poi mando qualcuno a farle la festa”

Seguendo le indagini gli inquirenti hanno scoperto che la Fabbri aveva fatto testamento poco prima di morire al fine di intestare tutto alla figlia di 21 anni presumibilmente perché sapeva che sarebbe morta molto presto.

Questi sono solo alcuni degli ultimi delitti commessi da inizio 2021. Quattro su un totale di dodici in due mesi o poco più.

Da queste storie e dalle altre che non abbiamo citato emergono due fattori principali.

Il primo è che il Codice Rosso ha fallito.

Il Codice Rosso per contrastare la Violenza sulle Donne

Negli ultimi anni, molte sono state le campagne di sensibilizzazione affinché le donne vittime di maltrattamenti e di persecuzioni denunciassero i loro carnefici.

Molte donne hanno denunciato e molte sono morte dopo averlo fatto.

A che serve aggiungere un paio di scarpette rosse in piazza ogni volta che una donna muore, allora?

Dalle storie che vi abbiamo riportato, leggiamo che le vittime non hanno sempre denunciato i loro compagni o ex, per due motivi: la paura che questa azione possa scatenare la rabbia feroce e il desiderio di vendetta da parte dell’uomo che le minaccia; la paura di non poter economicamente sostenere se stessa e i propri figli cercando di soddisfare il sacrosanto diritto di libertà.

Non c’è tutela da parte delle istituzioni e degli enti predisposti a sostegno di tutte le donne vittime di soprusi, violenze e disparità di genere. Questo è un fatto.

Il secondo fattore è che questi omicidi efferati non sono solo il frutto di una cultura maschilista tossica che si erge nell’educazione all’italiana, ma che c’è ancora, nel palese disprezzo per la vita altrui provato dai carnefici, che i disturbi e le malattie mentali sono reali e più diffuse di quanto si pensi. Un fattore che passa troppo in sordina.

In primis c’è l’arrogarsi il diritto di poter annientare colei o colui che li disonora con atti disumani.

L’onore. Il pilastro principale del vero uomo, emblema del rispetto che pretende.

Quando un uomo architetta l’omicidio della moglie in ogni minimo particolare, chiedendo addirittura l’intervento di un sicario, o quando una donna decide di portarsi dietro un contenitore pieno di acido corrosivo col fine di sfigurare l’uomo che l’ha rifiutata, è possibile che dietro ci sia un pericoloso disturbo della personalità. Ma è possibile che chi conosce questi individui non si accorga di nulla?

Questo rivela che le malattie mentali, oggi, sono ancora un tabù che persiste – ripeto – pericolosamente nella cultura educazionale delle famiglie italiane.

Sono queste le campagne di sensibilizzazione di cui abbiamo bisogno. Ma ancor di più, ci vogliono atti concreti: muoiono ancora molte donne, le altre subiscono in silenzio rintanate in un angolo a difendersi da calci e pugni.

Purtroppo, però, il quadro generale continua ad essere pessimo.

Nel 2021 le donne hanno ancora stipendi più bassi rispetto ai colleghi uomini; opportunità lavorative sempre più ridotte a causa di età, maternità e stato civile; opportunità di carriera e crescita all’interno di un’azienda utopiche o, di contro, ricoprono ruoli di prestigio ma sono spesso oggetto di pregiudizi beceri e sessisti. Inoltre, a distanza di quarant’anni devono difendere ancora con le unghie e con i denti il diritto all’aborto.

Quarant’anni della legge 194

Eppure, c’è una rivoluzione femminile in atto. Peccato che sia mainstream solo quella più ipocrita di sempre.

Le donne non vogliono che durante le guerre tra partiti, giornalisti e opinionisti di settore tutti, ad certo punto, si fermano per dedicare almeno due righe di solidarietà ad una leader di partito perché un professore universitario le ha dato della “scrofa” e, che piaccia o meno, è una donna e non si tocca.

Le donne vogliono solidarietà alla persona, nel ruolo di deputata, che è stata pubblicamente offesa in modo volgare e rimarcare che spesso con le donne si tende a utilizzare epiteti volgari al fine di offenderla personalmente e non per esprime oggettivi giudizi sul suo operato.

Le donne non vogliono una fiction su un vicequestore della polizia (o devo scrivere vicequestora?) di sesso femminile, se poi è incentrata sul fatto che la protagonista non ha rinunciato alla sua femminilità nonostante il suo lavoro di poliziotta, e nelle promo pubblicitarie si parla soprattutto del suo tacco dodici e della sua quinta di reggiseno.

Le donne non vogliono nemmeno film in controtendenza con le commedie romantiche più classiche in cui la protagonista, invece di essere sottile, ingenua e imbranata in modo adorabile, è grassa, beve, rutta e parla come uno scaricatore di porto e vuole fare solo sesso occasionale.

E non hanno bisogno che le pubblicità sugli assorbenti parlino di abbattere gli stereotipi di genere più comuni se lo Stato applica ancora l’IVA su questi.

Tina Anselmi, Augusta Bassi, Nilde Iotti, Emma Bonino e tutte le donne che hanno lottato affinché le donne conquistassero diritti civili che loro spettano e, più di tutto, il diritto di uguaglianza, avevano tutte un sogno. Ma non è questo.

Non è questo!

Oggi abbiamo ben poco da festeggiare.

Jessica Moscato

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