Il Partito Socialista Italiano (P.S.I) venne fondato a Genova nel 1892 sotto la denominazione originaria di Partito Italiano dei Lavoratori, poi Partito Socialista dei Lavoratori Italiani fino ad assumere il nome di PSI in occasione del Congresso di Parma del 1895.
Andrea Costa è tra le figure del socialismo embrionale più importanti. Fervente partigiano dell’ideale anarchico prima e convinto uomo di partito poi, sviluppò la sua dottrina che prevedeva di convogliare le varie forze rivoluzionarie in un grande partito socialista.
Già nel 1881 il Costa diede vita al Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna che puntava a difendere gli interessi dei lavoratori ma che non disdegnava di passare attraverso le riforme. Costa viene eletto in occasione delle elezioni politiche del 1882 e diviene così il primo deputato socialista italiano.
Il partito che si formerà a Genova nel 1892 è in realtà l’unione di altre due formazioni storiche: la Lega Socialista Milanese di Filippo Turati, di corrente riformista (che diventerà preminente) e il Partito Operaio Italiano di Costantino Lazzari e di Giuseppe Croce. Gli altri fondatori di spicco furono Camillo Prampolini e soprattutto Anna Kulišëva (italianizzata in Kuliscioff), una rivoluzionaria di origini russe legata sentimentalmente ad Andrea Costa prima e allo stesso Turati dopo e figura di trincea nella battaglia per l’ottenimento del voto alle donne.
Anche se storicamente viene ricordata soprattutto la scissione del Congresso di Livorno del 1921 in cui l’anima massimalista si staccò formando il Partito Comunista d’Italia (vedi articolo precedente), non bisogna dimenticare che il PSI è nato da una scissione avvenuta il giorno stesso della sua fondazione.
Gli anarchici, anche loro appartenenti alla matrice socialista e che avevano il supporto iniziale della Kuliscioff, erano inclusi nelle prime esperienze socialiste. Durante lo stesso Congresso di Genova gli animi tra la corrente libertaria e quella filo-turatiana si esasperarono tanto che Turati decise di sospendere il Congresso, espellere gli anarchici e fondare il Partito. I tentativi del Costa di mediare tra le due anime risultarono vani.
AVANTI! – È quindi la posizione di Turati che prevale su tutta la linea. Una linea riformista e non rivoluzionaria. Lo scopo finale però era, almeno in origine, lo stesso: l’autogestione. I socialisti (intendiamo qui i riformisti) vedevano nel compromesso con le istituzioni e nella partecipazione alle riforme, la via da seguire. Il giorno di Natale 1896 esce il primo numero del celeberrimo giornale socialista Avanti!, strumento eccezionale di coesione della maggior parte dei socialisti italiani.
I socialisti non disprezzavano però appoggiare le proteste operaie che dilagavano in tutta Italia (e in particolare nel Nord). Le massime personalità socialiste (Costa, Turati, Kuliscioff, Romussi ecc.) vengono arrestate per ordine del generale Fiorenzo Bava Beccaris, il partito sciolto per attività sovversiva (i sospetti di legami con gli anarchici sono ancora forti) e l’Avanti! messo al bando.
I primi anni del Novecento non furono facili per il PSI, in particolar modo a causa dello scontro intestino tra i minimalisti (i riformisti) e i rivoluzionari, sempre più importanti numericamente. Turati è vittima del fuoco incrociato proveniente dalle correnti di destra e di sinistra (tra le personalità di sinistra ricordiamo Gaetano Salvemini). Nel Congresso del 1912 i minimalisti si ritrovarono in minoranza e l’area capeggiata da Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, futuro Presidente del Consiglio dei ministri a cavallo tra il 1921 e il 1922, venne espulsa.
Tra le varie personalità che contribuirono ad espellere l’area riformista fu Benito Mussolini, futuro direttore de l’Avanti! e soprattutto futuro Duce d’Italia. È in questo clima di lotta e di ideali che il movimento socialista e quello sindacalista mettono insieme le loro armi per chiedere migliori condizioni di lavoro. Il simbolo di tutto questo era Giuseppe Di Vittorio (senza dimenticare Bruno Buozzi), fervente sindacalista rivoluzionario che ebbe un passaggio tra le fila del PCI clandestino durante il fascismo.
Lo scontro tra le varie anime socialiste era puramente ideologico. La dicotomia tra chi voleva l’abbattimento immediato della classe borghese (massimalisti ed anarchici, con diverse sfumature) e chi voleva aprire alle forze moderate di Giolitti era estenuante. Alle posizioni di Mussolini si contrappose un altro giornalista, Giacomo Matteotti, ucciso dal primo nel 1924 dopo essere stato sequestrato dall’OVRA, la polizia segreta.
In occasione della Prima Guerra mondiale, il PSI si dichiarò in favore della neutralità dell’Italia. Alcuni socialisti iniziarono però a vacillare e ad avanzare dei dubbi circa la neutralità. Mussolini glissò da un forte neutralismo (propose lo sciopero generale in caso di chiamata alle armi) ad un acceso intervenzionismo. Egli incontrò però la contrapposizione della maggior parte dei socialisti, rimasta ancorata al neutralismo. Mussolini decise quindi di dimettersi per fondare il Popolo d’Italia e fondare poi il PNF nel 1921.
Nel 1921, una parte dei massimalisti (in totale questi erano dieci volte più numerosi della corrente turatiana) promosse la scissione che portò alla nascita del PCI, seguendo il paradigma leninista. Turati decise ad ogni occasione di negoziare con le forze di governo e monarchiche al fine di arrivare a dei compromessi e far prevalere alcune delle priorità dei socialisti.
Col fascismo che prendeva sempre più d’importanza, molti socialisti decisero di lasciare l’Italia guadagnando il suolo transalpino. È da Parigi che i socialisti furono tra i più attivi a promuovere un Comitato d’attività antifascista. Quelli che restarono decisero di riunirsi e combattere contro il fascismo tra le file delle brigate Matteotti, tra le più importanti in termini numerici dopo le Garibaldi comuniste. Tra i membri della Matteotti si ricorda il Presidente Pertini.
Alla fine del Secondo Conflitto mondiale, i socialisti furono tra le anime più importanti dell’Assemblea costituente e rappresentarono probabilmente l’anello di congiunzione tra le forze cristiano-liberali da una parte e quelle comuniste e filosovietiche dall’altra, anche se l’ala guidata da Saragat (divenuta poi PSDI) denunciò la vicinanza del PSI del segretario Nenni alle posizioni di Mosca. Le varie e continue scissioni vennero compensate in parte dalla dissoluzione di altri partiti, come il Partito d’Azione, che confluirono tra le fila socialiste.
Il PSI dello stesso Nenni tagliò ogni legame con il PCI a causa dell’invasione sovietica dell’Ungheria, avvicinandosi progressivamente alle posizioni alla sua destra, ovvero quelle della Democrazia Cristiana (DC). Il PSI si sposta quindi sempre più verso posizioni centriste e di centro-sinistra.
IL PSI e il PSDI di Saragat si unirono nel 1968 nel Partito Socialista Unificato (PSU) in vista delle elezioni ma i risultati furono pessimi, ben peggiori di quelli precedenti in cui le due anime camminavano separate.
A partire dagli anni 70, le forze socialiste mantennero una certa presenza nei vari governi che si susseguirono. Ricordiamo il PSDI nel governo Andreotti 1, del PSI e del PSDI nel governo Rumor 4 e 5, del PSDI nel governo Andreotti 5 e Cossiga 1, del PSI nel Cossiga 2, del PSI e PSDI nel governo Forlani dei primi anni 80, ancora delle due formazioni nel Governo Spadolini 1 e 2 e Fanfani 5 che si dimette nel 1983.
Il 4 agosto 1983 presta giuramento il Governo Craxi 1, personalità di spicco del PSI, ma supportato anche dalla DC. Nel 1985, la nave da crociera Achille Lauro venne sequestrata da terroristi palestinesi. La visione filopalestinese di Craxi e la gestione della crisi crea malumori all’interno del governo.
Nel 1986, Craxi decide di accettare invece le imposizioni americane di non vendere più armi alla Libia, colpevole, secondo gli USA, di rifornire i terroristi. La lenta agonia del Governo Craxi 1 termina con le dimissioni del 27 giugno 1986. Nel secondo mandato (Governo Craxi II) le posizioni della DC e del PSI si appiattirono ancora di più grazie al patto della staffetta, ovvero l’accordo che prevedeva che la legislatura fosse iniziata da Craxi (PSI) ma ultimata da un democristiano (probabilmente De Mita). Tuttavia, Craxi mandò in fumo il piano, continuando per la propria via, non accettando il patto e presentando le dimissioni nell’aprile 1987.
La presenza socialista si fa di nuovo sentire con il Governo Goria (della DC), con quello De Mita, Andreotti 7 e 8 nonché con il Governo Amato 1 (esponente del PSI, supportato dalla DC) e il Governo Ciampi.
Il PSI contribuisce quindi a spostare l’arco parlamentare sempre più a destra, accettando di collaborare con i maggiori partiti moderati e di governo. Questo passaggio è testimoniato anche dall’abbandono negli anni 70 della falce e martello in favore dell’iconografico garofano, storico simbolo socialista e omaggio alla rivolta dei garofani portoghesi. È la fine del paradigma socialista in favore del socialismo liberale, già preconizzato dal riformista Carlo Rosselli e l’accettazione delle dinamiche capitalistiche.
L’inchiesta Mani Pulite del 1992 si schiantò come un tornado sul PSI. Il primo a cadere nel vortice giuridico e mediatico fu Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio (tristemente conosciuto oggi per la gestione degli ospiti durante il primo lockdown) e membro di spicco del PSI milanese. Craxi si limitò a definirlo un “mariuolo isolato”.
Si rivelò invece la prima goccia di una tempesta che si scatenò sul PSI e sulla maggior parte dei partiti, risparmiando praticamente solo i comunisti (il PCI si era sciolto nel biennio 89-91). Alcuni esponenti si suicidarono, confessando la loro complicità e i meccanismi di corruzione e di ricezione di fondi illegali all’interno dei partiti e in particolare in quello socialista.
Le prove intorno a Craxi erano ormai sempre più stringenti. La magistratura guidata da Di Pietro scoprì i finanziamenti al PSI provenienti da società offshore facenti capo a Silvio Berlusconi. Craxi scappò in Tunisia, ad Hammamet per sfuggire all’arresto. Venne quindi dichiarato latitante per la giustizia italiana. Fu la fine della Prima Repubblica e del PSI, che si sciolse definitivamente il 12 novembre 1994.
Vari piccoli partiti che fanno riferimento all’ideale socialista sono nati dopo la dissoluzione. Tra i più esemplificativi troviamo il Nuovo PSI dell’ex presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, che riprende il paradigma craxista e si colloca a destra, mentre il PSI attuale è nato il 5 ottobre 2007 e a livello nazionale è in coalizione con Italia Viva, il partito di Renzi che ha portato Giuseppe Conte alle dimissioni e che si appresta a consegnare a Mario Draghi le redini del Paese.
PSI LOCALE, PRESUTTO E LIOI – Abbiamo quindi contattato Giancarlo Presutto, candidato a sindaco del PSI ad Eboli alle prossime amministrative, e Antonio Lioi, storico militante e dirigente socialista, che hanno gentilmente accettato di rispondere ad una domanda che cerca di legare passato, presente e futuro del PSI.
Presutto: “Certamente rifarsi alla dottrina socialista nel XXI secolo è una condizione estremamente importante e allo stesso tempo complessa. Viviamo in una società dove si è “perso” il senso dell’altro, andando incontro ad un numero elevato di casi di violazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, nella sua sfera politica, sociale ed economica. Nel mondo individualista di oggi, assistiamo quotidianamente a casi di femminicidi, di bullismo, del mancato rispetto dei diritti della donna nella sua dimensione lavorativa e sociale. In aggiunta, vi è ancora molto spesso, una debole attenzione nei riguardi dei disabili e delle sfere sociali più deboli. Si deve ancora fare tanto per migliorare le loro condizioni di vita, per una maggior integrazione nel campo lavorativo e non solo, come ad esempio anche nel campo dello sport.
In generale nella circostanza lavorativa, spesso si assiste ad una situazione in cui i lavoratori sono sottopagati, lavorando a nero o non viene concesso loro il diritto alle ferie. E’ essenziale in questo frangente, in una società “malata” come è stata definita anche da papa Francesco, l’esigenza e una forte necessità di porre al centro del dibattito i valori fondanti della dottrina socialista, tra cui il principio fondamentale dell’uguaglianza dei cittadini, sul piano economico, sociale e giuridico, e del rispetto dei diritti fondamentali. In vista di questo, è un principio cardine il progresso economico, alla base del quale ci deve essere un dialogo, ma un dialogo costruttivo e formativo, fondato sul rispetto reciproco delle proprie idee. La società e il mondo attuale devono camminare su basi riformiste e progressiste, per far crescere le future generazioni in un clima sempre più aperto e con meno odio tra i popoli”
Lioi: “Sono iscritto al PSI dal 1958 e la coerenza per me è ancora un grande valore. Sono sempre stato solo un militante e modesto dirigente a livello locale, provinciale e regionale come interprete del pensiero di Riccardo Lombardi. La, Sua domanda credo che possa essere sintetizzata in: Il socialismo è attuale oggi? Io penso che i modelli che la società odierna sperimenta non siano totalmente orientati verso la libertà ed uguaglianza dei popoli, verso una giustizia sociale ed una forte partecipazione democratica dei cittadini alla vita politica, sociale e culturale. Se è verso una società di questo tipo che dobbiamo aspirare allora dopo 130 anni di storia il socialismo non è attuale ma indispensabile. Oggi chi crede nel socialismo ha ancora il privilegio di chiamarsi come coloro che “condividono il pane” ( CUM PANIS=compagni). Ricordo che il Socialismo è portare AVANTI, tutti quelli che sono nati…..indietro….”
Leggi anche —> “Il PCI e la sinistra extraparlamentare”
Francesco Mirra