Il fenomeno della “Street Art”: dall’espressione ribelle alla museificazione (FOTO)

Con il nome street art siamo soliti definire tutta una serie di interventi e di forme artistiche che si sostanziano nell’appropriazione o riappropriazione di spazi urbani da parte di artisti “senza mecenate” che usano tali spazi pubblici per lanciare messaggi e per abbellire zone delle città spesso lasciate in balia della decadenza.

STORIA E FUNZIONE DELLA STREET ART – Come nasce la street art? Quali sono le forme in cui si esplica? Se oggi la street art è pienamente inserita all’interno del sistema e del contesto sociale, alle origini era sostanzialmente una forma di espressione artistica antisistema che si scagliava soprattutto contro il paradigma della proprietà privata.

Siamo negli Stati Uniti negli anni ’80 del Novecento, le influenze della pop art portano i primi street artist, tra cui il più celebre è sicuramente Haring, a farsi sentire appropriandosi di muri e spazi vuoti. A partire dagli anni 2000 “il fenomeno Banksy” ha creato una diffusione esponenziale dell’ arte urbana che è arrivata in Europa e in Italia. Il viaggio dell’arte urbana, però, inizia ancor prima. E’ il graffittismo, infatti, che fa da precursore al concetto di street art che noi abbiamo oggi.

STREET ART E GRAFFITISMO – Innanzitutto dobbiamo distinguere la street art come manifestazione di disobbedienza (quella dei cosiddetti puristi), dalla street art che in modo provocatorio potremmo definire al servizio di interventi di riqualificazione urbana e non solo. Poi, possiamo fare una distinzione tra street art e graffittismo.

Quest’ultimo è legato alla cultura hip hop in America e a quella punk rock in Europa, dove il movimento dei graffiti si sostanzia in una quasi maniacale ripetizione dello pseudonimo su tutte le superficie visibili. E’ la “tag” del writers che funge da segno distintivo del suo autore, il segno con il quale intende provocare e rivolgersi ad altri graffittari. Al contrario, l’arte urbana si rivolge ad un pubblico molto più ampio, vuole persuadere e lanciare messaggi.

La prima manifestazione di street art risale alla Seconda guerra Mondiale quando un gruppo di soldati americani disegnarono un omino stilizzato con la scritta “Kilroy was here”, volendo proprio lanciare un messaggio. Diverse sono poi le tecniche e gli strumenti usati: il graffittismo usa solo spray e marker, la street art utilizza ulteriori tecniche quali la Sticker Art, lo Stencil, le Proiezioni Video e le Installazioni. In entrambi i casi, però, l’artista è chiamato ad interagire con il contesto sociale, a parlare anche il linguaggio della gente cui si rivolge, a raccontare ed interpretare la storia e la realtà circostante. Come scriveva nel 1964 McLuhan: “L’artista è l’uomo che in qualunque campo, scientifico o umanistico, afferra le implicazioni delle proprie azioni e della scienza del suo tempo”.

DA RIBELLIONE A RIQUALIFICAZIONE URBANA – Già a partire dagli anni ’50 l’arte urbana inizia a dialogare non solo con lo spazio, ma anche con il contesto sociale e politico, divenendo il mezzo per dare nuova vita ad ex ferrovie, discariche, edifici abbandonati. Diviene creatrice di identità sociali, soprattutto all’interno di comunità marginalizzate e disgregate al loro interno. Con il tempo, poi, diviene catalizzatore di turismo culturale: proliferano soprattutto negli ultimi anni una serie di festival politicamente patrocinati ed economicamente finanziati che, secondo molti, fanno perdere alla street art quella iniziale natura ribelle e disobbediente.

Ultimissima tendenza è la museificazione della street art, fenomeno da cui molti artisti stanno prendendo le distanze. Emblematico è stato il caso di ‘Blu’, che a Bologna nel 2016 ha cancellato tutti i murales fatti in 20 anni volendosi opporre alla mostra Street Art-Banksy & Co. L’arte allo stato urbano, che dopo New York, Parigi, Amsterdam approdava finalmente a Bologna, a Palazzo Pepoli, era sostenuta dalla fondazione bancaria Genus Bononiae e presieduta dall’ex rettore dell’ Università Fabio Roversi Monaco, rendendo così i murales, da sempre espressione libera e indipendente, come un qualcosa di privatizzato e soggetto al pagamento di un biglietto. Allo stesso modo a Milano nel 2019 molti artisti si sono opposti alla mostra autorizzata di Banksy al Mubec attraverso l’esposizione di manifesti nell’intera città con lo slogan “Street art is dead” firmato da ‘Mr. Savethewall’.

 

Se i graffiti sul muro di Berlino sono divenuti pezzi da vendere ai turisti e le opere di Banksy vengono rimosse dai muri per essere stravendute, la museificazione dei murales non ci lascia così tanto stupiti, ma ci lascia una serie di interrogativi. A chi appartiene realmente un’opera di street art? Può l’artista far valere la normativa sul diritto d’autore? Ma soprattutto relegare i murales in teche affiancati da didascalie affinchè vengano custoditi in musei autorizzati non fa perdere all’arte urbana quella sua natura libera, indipendente, ribelle, ma anche quella funzione di riqualificazione urbana e di formazione di identità sociali, attraverso la ricostruzione di spazi pubblici?

A noi piace pensare che essa debba restare ribelle, nel senso di “riportare il bello”, come d’altronde ci ricordano le iniziative nella nostra Campana, quali “Muri d’autore” e “Urban area open space” a Salerno, “Overline Jam” a Baronissi , “Impronte” a Bonito, “New Wall” ad Avellino, “Parco dei murales” a Ponticelli, “In wall we trust” a Benevento, “Acerra street art Festival” in provincia di Napoli e “Chinea for life Graffiti” in provincia di Salerno, giusto per citarne alcuni.

Sara Perillo

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