Eboli e le “zone pericolose”: lo sono sempre state, solo che prima non avevamo i social

Nelle ultime settimane, la stampa locale e provinciale, vuoi per interessi politici vuoi per la non completa conoscenza dei fatti, ha puntato il dito contro la microcriminalità della città di Eboli, indicando zone precise come “focolai” di violenza e incriminando (mai in maniera diretta ma solo con supposizioni) attività lavorative come ‘complici’ di queste bagarre serali.

Alcuni quotidiani Provinciali e locali, hanno riportato più volte notizie di violenza, risse e scippi avvenuti in punti “sensibili” della città come la stazione di Eboli, la zona degli impianti sportivi o la “pericolosissima” (come viene definita) piazzetta Carlo Levi al termine del viale Amendola.

SENZA SOCIAL – Ebbene, per chi è almeno un under 40, ricorderà benissimo che questi luoghi che oggi sembrano un covo di malavita e violenza sono sempre stati così, tanto che in passato quando si usciva sul viale non si scendeva mai fino alla piazzetta Carlo Levi perchè si sapeva che “dopo un certo orario è meglio non passare da lì”. Negli anni non si contano gli scippi, le aggressioni, lo spaccio e le richieste di soldi o sigarette ai passanti che sono arrivate in quel punto, di giorno e di notte.

Eppure, mai nessuno si è sognato di dare la colpa di tutto ciò alle attività circostanti (rosticcerie, bar, coloniali, supermercati, edicole) o far passare il tutto come “una nuova ondata di violenza”, semplicemente è sempre stato così ed evidentemente chi critica le attività circostanti invece di soffermarsi sulla situazione (che è quella da contrastare) è perchè avrà bisogno per conto personale o di terzi di mettere in risalto in negativo quel posto.

La domanda allora è questa: perchè ingigantire un fenomeno di microcriminalità che Eboli si porta dietro da oltre 30 anni, sempre negli stessi posti e farlo passare solo oggi come un vero problema?

Semplice, perchè con l’avvento dei social ora è più facile mettere in risalto ogni minima cosa che succede e se prima i giovani o chiunque si trovasse in prima persona in situazioni sgradevoli doveva affrontarle a viso aperto, oggi preferisce nascondersi dietro una foto o dietro un articolo di giornale puntando il dito qua e la ma non arrivando a nessuna soluzione pratica.

D’altronde la storia insegna: se è da 30 anni che funziona così, perchè ora dovrebbe cambiare qualcosa? Sono cambiate solo le modalità di affrontarle.

Con questo non vogliamo dire che sia giustificato tutto ciò che accade ma se c’è bisogno di sottolineare questo problema sarebbe anche giusto fare qualcosa per debellarlo, perchè alla fine la foto resta sui social, l’articolo resta sulla carta e la microcriminalità continua nel suo operato.

Filippo Folliero

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