Per comprendere a fondo ciò di cui vogliamo parlavi oggi, prima di tutto bisogna relativizzare l’espressione di “tribù mai contattate”. Nella maggior parte dei casi si tratta di individui consci della presenza di una società, la nostra, al di là del loro luogo di vita e noi conosciamo quasi tutte le tribù isolate presenti nel mondo. Alla base del loro isolazionismo esiste quindi una scelta ben precisa di non uscire dal loro contesto, cercando di proteggersi il più possibile da qualsiasi tipo di pericolo.
Queste tribù si trovano principalmente in tre regioni del globo: l’America latina, nella foresta amazzonica condivisa da Brasile, Perù, Paraguay, Bolivia, ma anche in Colombia ed Equador; in India e più particolarmente nelle Isole Andamane, nel Golfo del Bengala; e in Oceania, e più precisamente in Nuova-Guinea (soprattutto in Papua-Nuova-Guinea).
È estremamente difficile quantificare quante persone vivano nel profondo respiro verde della Terra, lontane dalla nostra frenesia di produzione e di consumazione illimitata. Si tratta di popoli essenzialmente nomadi, che seguono, per la più parte, i ritmi della natura, e che quindi si muovono in base allo spostarsi delle prede o per la presenza in altri luoghi di cibo da raccogliere.
Gli ultimi studi riguardanti la quantificazione di queste tribù risale al 2013. Secondo questi ultimi, queste tribù sarebbero circa un centinaio. Ovviamente, non sono i soli ad abitare questi luoghi, soprattutto la foresta amazzonica. Oltre agli insediamenti più moderni della nostra civiltà, altre decine e decine di popoli indigeni abitano l’Amazzonia a stretto contatto con la natura e i suoi “spiriti”, ma che si espongono molto più apertamente alla nostra società (con tutto ciò che questo comporta).
LE RAGIONI DELL’ISOLAMENTO – Storicamente, la maggior parte delle popolazioni mai contattate non sono sempre state tali. Il “mai” dovrebbe quindi in parte essere relativizzato. Un buon numero di queste popolazioni era entrato in contatto con i colonizzatori, in particolar modo con Spagnoli e Portoghesi, per quanto riguarda l’America latina, a partire dai primi anni del 1500. Per scappare ai diversi genocidi perpetrati ai loro danni, alcune popolazioni decidono di rifugiarsi nella regione amazzonica. Il loro isolazionismo riposa quindi sulla memoria di coloro che fondarono queste tribù e sul ricordo
del trauma subito, oggi deterrente alla loro integrazione alla nostra società. Basti pensare che il 90% della popolazione indigene è stata sterminata in quello che è stato definito il boom del caucciù (della gomma), a causa delle condizioni di estrema precarietà e di totale schiavitù.
Solo un’altra parte di queste popolazioni, sicuramente minoritaria, non è mai entrata in contatto con la società dominante, se non indirettamente, a causa delle minacce che questa apporta al loro (eco)sistema.
LE MINACCE – Quelle mai contattate sono sicuramente popolazioni estremamente fragili per diverse ragioni, soprattutto esogene al loro sistema. Il loro isolazionismo ha fatto sì che non sviluppassero difese immunitarie contro alcune malattie per noi abbastanza banali come la febbre, la varicella o il morbillo. Un tragico esempio di questa minaccia viene da alcune tribù Nahua in Perù, sterminate dopo il contatto con alcuni uomini venuti a estrarre petrolio negli anni 80 del secolo scorso. O ancora, una buona parte dei Murunahua ha perso la vita a causa di un semplice raffreddore introdotto da alcuni taglialegna negli anni 90. I taglialegna rappresentano quindi un doppio rischio, sia per le malattie che questi potrebbero introdurre sia per la loro opera di disboscamento che riduce sempre più il territorio di queste popolazioni. Basti pensare che nel 2004, il tasso di deforestazione dell’Amazzonia era di oltre 27.000 km quadrati.
Le minacce sono quindi numerose e a quelle già presentate ne vanno aggiunte altre: la costruzione di arteria stradali, lo sfruttamento indiscriminato e sempre più accelerato delle risorse presenti in questi luoghi, l’espansione dell’agrobusiness con la produzione di olio di palma e soia. Paradossalmente, la costruzione di strutture per l’energia rinnovabile incide considerevolmente sul loro habitat, soprattutto a causa delle dighe idroelettriche.
In ultimo, anche fattori endogeni contribuiscono alla loro fragilità. L’accentuata endogamia, ovvero la riproduzione circoscritta alla tribù, rende fragile l’evoluzione di questi individui da un punto di vista genetico, oltre a poter causare alcune malattie fatali, in quelle condizioni, per il nascituro.
I VALORI – Che siano le tribù di North Sentinel (le isole indiane), quelli della Papua-Nuova-Guinea o le popolazioni amazzoniche, queste sembrano condividere elementi di fondo che le caratterizzano. Anche se sappiamo relativamente poco di queste popolazioni, gli studi che sono stati fatti ci portano a pensare che queste vivano in modo “primitivo”. Sono società preletterate che, tendenzialmente, si caratterizzano per la presenza di valori femminili che inebriano l’intero funzionamento tribale. Queste popolazioni non sembrano presentare l’istituzionalizzazione del potere e sono piuttosto
orizzontali. Il rapporto con la natura è intimo e il rispetto di questa, proprio perché matrice originale dello stesso Uomo, è sacro. Infatti, la totalità di queste popolazioni è di fede animistica.
Questi sono valori che la nostra società sembra aver perso o, si spera, solo nascosti o dimenticati. Le popolazioni isolate devono quindi rappresentare uno spunto, una fonte da cui attingere le linee guida del nostro futuro. Lungi dal voler risvegliare un’animosità bucolica per tempi perduti, l’uomo moderno devo rendersi conto che quella in cui vive oggi è una società anomica e amorfa dalla sua natura, che deriva da quella che lo circonda.
Le popolazioni isolate sono quindi i custodi di un passato che fu e di un futuro che dovrebbe essere.
Francesco Mirra