Se le parole, e i numeri, sono davvero importanti, sembra che le giovani generazioni siano una delle maggiori preoccupazioni della programmazione politica post-pandemica. Sarà davvero così? Puntiamo tutti e tutto su di esso, sperando che riesca a dimostrarsi risolutivo di grande parte dei problemi che vengono evidenziati da troppo tempo riguardo la disoccupazione giovanile in Italia, ed ora enfatizzati ancor di più dalla pandemia da Covid19.
Nel 2000 i giovani occupati erano 7,7 milioni, nel 2019 5,2 milioni: meno 2,5 milioni. Il tasso di fecondità è sceso da 2,66 figli per donna della metà degli anni sessanta del secolo scorso a 1,18 figli dell’anno in corso. Negli anni che vanno dal 2009 al 2019 sono spariti poco più di 345mila giovani di età tra i 18 e i 39 anni, con un certo pericoloso equilibrio tra le aree del Paese e con il Sud in rapida rimonta in termini di valore assoluto degli espatri. Il disagio avvertito dai giovani nel corso della pandemia si aggiunge ad un quadro già complicato dall’incertezza e dalla sfiducia che contraddistinguono le giovani generazioni riguardo le loro aspettative future.
Per molti di essi l’Italia è percepita come un Paese dove il mercato del lavoro non offre tutte le condizioni e le opportunità per vedere realizzate e valorizzate le proprie competenze e capacità su cui si è investito. La scelta di trovare all’estero nuove esperienze occupazionali sembra, perciò, è molto diffusa come può far capire l’andamento del flusso emigratorio (Tab. 1) che si riscontra negli ultimi anni e che ha assunto dimensioni significative.
Non c’è da stupirsi che questi fenomeni poi distruggano il tessuto produttivo attuale e, soprattutto, prospettico. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso 156mila imprese giovanili, che ora pesano meno del 9% sul totale imprese. Questa pessima performance ha due cause: la prima è la demografia, la seconda è l’eccesso di difficoltà che incontra un giovane imprenditore potenziale nel realizzare il suo progetto lavorativo. Ci vogliono politiche di maggiore ampiezza e stabilità: aggiustare i deficit di contesto – microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano – migliorare la burocrazia, ridurre la pretesa fiscale. Il fallimento nella ricerca di una possibilitá di impiego, di una preparazione e formazione al lavoro, crea isolamento, sensazione di dipendenza, inadeguatezza e inutilitá fra i giovani.
Tutto ciò ci impone di riflettere anche sull’incremento di decessi per suicidio tra i giovani, e sull’importanza della salute mentale che necessita di ulteriore sensibilizzazione. I giovani sono stati fra i più colpiti e i più esposti al rischio di esclusione sociale negli ultimi anni, in particolar modo i giovani meridionali. Il tasso di disoccupazione giovanile nell’UE è gradualmente migliorato con un calo al 14% registrato nel 2019, ma risalito al 18.2 % nel 2021 a causa della crisi pandemica.
È necessario fare un esame attento e serio – se proprio non si vogliono adottare gli strumenti economico/statistici di valutazione delle politiche attive – per stabilire se a fronte degli sforzi fatti per l’occupazione giovanile, i risultati siano stati adeguati. In caso di risposta negativa la conseguenza sarebbe cambiare le azioni.
Il numero di NEET – giovani nella fascia di età 15-29 anni che non lavorano, non studiano né sono in formazione – in Italia ha superato i due milioni di unità prima della pandemia. È record assoluto in Europa. Più correttamente, in rapporto alla popolazione della stessa fascia di età sono il 22% in Italia contro meno del 15% della Spagna e del 7,6% della Germania. Quindi, dei pochi giovani che ci rimangono pochissimi lavorano o sono comunque attivi sul mercato. E tutto ciò stranamente convive con 245mila ricerche di lavoro (vere) da parte delle imprese che ogni anno non vengono soddisfatte, considerando costante il dato del 2019 di fonte ufficiale. Questo dovrebbe costituire un’evidenza definitiva del fatto che abbiamo bisogno di studio e formazione professionale. Il fatto che l’Italia vanti il non invidiabile primato dei NEET nell’eurozona, evidenzia quanto scarsa sia stata l’attenzione del policy maker nei confronti di un capitale umano lasciato senza prospettive di occupazione e di reddito, in assenza di politiche attive efficaci, dirette all’inserimento dei giovani in programmi quanto meno di istruzione e formazione professionale, finalizzato all’ingresso nel mercato del lavoro e all’ottenimento di un’occupazione stabile retribuita.
In tale quadro ai giovani resta solo la speranza, che come sempre non muore mai.. La speranza che davvero questa volta ci sia spazio per i giovani laddove pur non essendoci una missione specificamente dedicata a loro, i giovani sono destinatari trasversali, diretti e indiretti, di diverse voci incluse nel PNRR: “Per l’Italia il programma Next Generation EU non rappresenta solo l’occasione per realizzare una piena transizione ecologica e digitale, ma anche per recuperare i ritardi storici che penalizzano storicamente il Paese e che riguardano le persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud”
Nel periodo 2024 – 2026, il PNRR stima un incremento totale dell’occupazione giovanile pari al 3,3%. Perché questo scenario sia realistico, e soprattutto lo sia in modo strutturale e non dettato dalla disponibilità economica del momento, sarà importante una gestione attenta e lungimirante. Come tutti i documenti generici, infatti, il PNRR dovrà essere declinato in modo più specifico. La fase che deve ancora venire quindi è la più delicata: un conto è elaborare delle linee strategiche, un conto è realizzarle; il rischio è di sprecare, attraverso lentezze burocratiche e cattive gestioni, un patrimonio e un’occasione epocali.
Affinché l’ambizione europea di costruire un piano per le prossime generazioni (Next Generation EU, appunto) venga mantenuta, occorrerà quindi un attento monitoraggio dell’applicazione del PNRR e una valutazione dei suoi risultati sui giovani: si ridurranno effettivamente le disuguaglianze tra generazioni, che spesso penalizzano i e le giovani? Si ridurranno i divari territoriali, di genere, di classe sociale che distribuiscono iniquamente le opportunità fra i giovani? Sono queste le domande a cui il PNRR è chiamato a dare una risposta. Positiva.
Giusy De Angelis