Tecnologia e Società – Fake News e la Grande Paura di Lefebvre

Farmaci russi che curano il Covid-19, radersi la barba, arance e limoni per prevenire il contagio, acqua e bevande calde che se bevute uccidono il virus e tante, tante altre. Queste sono solo alcune delle innumerevoli fake news – o bufale, se preferite la versione nostrana – che circolano in rete nelle ultime settimane, ma procediamo per gradi.

Fake news.” Treccani : “Locuzione inglese (lett. notizie false), entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità […]”

Nell’era dell’informazione digitale cresce sempre più il dibattito sulle fake news che, anche grazie al cattivo uso dei social media e delle app di messaggistica, passano facilmente per vere anche perché non vengono verificate da chi a sua volta le ricondivide. Le informazioni false sono spesso utilizzate tanto per far propaganda politica, quanto per generare profitti da click-baiting. L’effetto parallelo che inevitabilmente si viene a creare è la diminuzione del peso e dell’autorevolezza dei professionisti che lavorano nel campo dell’informazione, come i giornalisti.

Infatti, un tema ampiamente discusso di recente riguarda la proposta dell’abbandono completo del suo uso, dal momento che è sempre più utilizzato da figure politiche al fine di attaccare la stampa riportante notizie a loro avverse. Di questo problema se n’è interessata in particolar modo Margareth SullivanThe Washington Post – che spiega come all’inizio questa definizione avesse un significato preciso, mentre ora “se non ti piace qualcosa, la chiami fake news.”

Ma le fake news sono davvero un fenomeno strettamente moderno legato allo sviluppo delle più moderne tecnologie di comunicazione? Senza girarci troppo intorno la risposta è no, e uno dei più noti esempi di fake news nella storia è quello della Grande Paura, la cui storia si intreccia con la Rivoluzione francese. Paura dei briganti, degli aristocratici, dei contadini, armamenti: tutte queste paure trovano nella Grande Paura un minimo comune denominatore. Ad analizzarne il meccanismo ci pensò Georges Lefebvre che la definì “una gigantesca notizia falsa”.

LA GRANDE PAURA – Già prima della primavera del 1789, le campagne francesi erano attraversate da forti tensioni e da una generale inquietudine in cui la crisi economica determinata da carestia e disoccupazione si sommava alla crisi politica. Contemporaneamente, cominciarono a circolare le più disparate voci sui briganti che circolavano per le campagne e nelle zone limitrofe delle grandi città – altri non erano, invece, che mendicanti, vagabondi, contrabbandieri e operai che si spostavano in cerca di lavoro.

La voce della cospirazione aristocratica aveva sparso l’allarme sostenendo che i briganti fossero stati assoldati per schiacciare il terzo stato. In seguito sorgerà anche un nuovo timore, quello dello straniero: arrivano da ogni dove allarmi a seguito di presunti avvistamenti di soldati di potenze straniere. Il loro intervento sembrava giustificato dall’idea che le altre monarchie non potessero permettere il compimento di tale rivoluzione, che avrebbe altrimenti potuto propagarsi anche oltre i confini francesi.

Questa paura viene definita “Grande” per via della velocità della diffusione di questi falsi allarmi e per le vaste distanze coperte, binomio che avrebbe contribuito a dar l’impressione della simultaneità e universalità di questi stati di allarme, fornendo quindi un’ulteriore conferma ai timori del popolo.

DIFFUSIONE NOTIZIE – Ad eccezione delle città situate sulle rotte postali o delle grandi città commerciali, si poteva essere informati solo facendo spese di corrieri speciali o staffette, ma erano mezzi costosi, quindi utilizzati solo da pochi. I privati si affidavano ai propri domestici e alle poste – quindi tramite lettere personali. Più difficile era informare le campagne, dove la quasi totalità della popolazione non sapeva né leggere né scrivere e si poteva essere informati solo per trasmissione orale, con tutti gli inconvenienti che ciò comportava. Come se non bastasse cominciarono a circolare per le campagne falsi manifesti a nome del re.

Non meno colpevoli furono i giornali che raccoglievano queste false voci per poi diffonderle nuovamente in una più vasta area e le autorità locali che, volendo premunirsi, diffondevano a loro volta tali notizie. Inoltre, va considerato che quando erano giornali o persone di un rango elevato – o che comunque occupavano una posizione di rilievo nella società – a diffondere tali notizie, queste venivano automaticamente considerate veritiere poiché provenienti da fonti considerate attendibili.

Questa serie di eventi comportò uno dei fenomeni più affascinanti descritti da Lefebvre e che meglio dà l’idea della circolarità del rapporto falsa notizia – allarme – mobilitazione: i fatti di panico secondario, o di tappa. In breve, in seguito ad un allarme, le milizie difensive di un’area si spostavano verso l’area in cui si supponeva si trovassero i briganti, ma queste milizie spaventavano tanta gente quanta ne rassicuravano dal momento che questi venivano scambiati a loro volta per orde di briganti ed il processo di allarme-mobilitazione si ripeteva.

Ritornando al presente, è bene conoscere il meccanismo di tale fenomeno perché solo in questo modo si può davvero evitare di essere vittima di disinformazione, o peggio, esserne veicolo.
Ecco, quindi, alcuni consigli utili per combattere la disinformazione:

  • Mantenere un atteggiamento scettico verso l’informazione;
  • Consultare e confrontare più fonti di informazione;
  • Non condividere senza verificare;
  • Se si diffonde per errore un contenuto falso, correggerlo il prima possibile.

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Francesco Albanese

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