Alla riscoperta del nostro territorio: Eboli, le UNRRA-CASAS. L’agglomerato che diede vita al Borgo (FOTO)

Continua il nostro viaggio, grazie alla collaborazione di Raffaele Ciaglia gestore di “Le nostre Bellezze Sconosciute” e sempre alla ricerca di luoghi della Campania e della Basilicata a cui ridare lustro e visibilità, nel riscoprire le tante bellezze che la storia ha lasciato sul nostro territorio.

Oggi parliamo delle UNRRA-CASAS, ovvero i quaranta appartamenti edificati che crearono di fatto una zona di espansione urbana nell’area scelta per la loro costruzione, località Borgo, creando un agglomerato consistente proprio al di fuori dei confini della città antica.

ASSEGNAZIONE E ACQUISIZIONE – Nonostante le case fossero destinate a senzatetto nullatenenti, i beneficiari furono tenuti a versare un canone, definito “simbolico” per spese di amministrazione e manutenzione da reinvestire in altre attività dell’UNRRA CASAS nei villaggi costruiti. Dopo un periodo di prova di alcuni anni, in cui gli assegnatari che dimostrarono di custodire bene gli alloggi e di versare la quota – massima per le loro possibilità – a titolo di ammortamento di una parte del costo delle case, fu espressa volontà dell’ente che le abitazioni diventassero di proprietà degli usufruenti.

Si delinea così più chiaramente il progetto di “rieducazione morale e sociale” portato avanti dall’UNRRA-CASAS, ispirato al valore del bene privato acquisito tramite il lavoro, che sarà caro anche al piano casa Fanfani: i beneficiari diventano proprietari come “premio della loro ripresa, quale coronamento di un loro sacrificio pecuniario, se pur piccolo”.

OBIETTIVO – A sottolineare questo punto fondamentale interviene nel 1947 anche un concordato tra il presidente del Consiglio De Gasperi e il capo della Missione italiana UNRRA Keeny. Come sarà poi anche per il piano casa Fanfani, si vogliono creare centri vitali di lavoro e vita familiare. Gli scopi ultimi del Casas vengono ribaditi con precisione in rapporto sulla prima giunta: “la casa non era soltanto un fine, ma anzi era principalmente un mezzo perché i più poveri come i senzatetto nullatenenti potessero essere messi nuovamente in condizione di riprendere un tenore di vita civile e di rientrare, con il loro lavoro, nel ciclo produttivo del Paese”

La stessa disposizione architettonica degli spazi fu pensata per inculcare i valori del lavoro e del senso della proprietà con ciascuna abitazione dotata di un ingresso o scala indipendente, senza servitù in comune; il piccolo appezzamento di terreno di cui ogni abitazione disponeva doveva essere coltivato ad orto. Ma, è soprattutto nel corredo di attività assistenziali previste dal piano che si esplicita la sua missione rieducatrice, almeno negli intenti, di istituzione foucaultiana.

IL ‘RECUPERO’ DEI VALORI – Il Casas, parallelamente al sostegno materiale e morale degli assistiti, proponeva infatti di realizzare un disegno organico e prescrittivo di individuo, famiglia e di rapporti tra questi e la comunità in cui essi vivevano. Dietro questo disegno si stagliava un progetto politico di più ampia portata di cui si fece portatrice la DC, che passò, come ricordato, dalla creazione di una nuova schiera di piccoli proprietari, a un controllo, più intimo e pervasivo dell’ambiente domestico e dei suoi valori. L’assistito è un individuo da rieducare perché ha subito il decadimento morale della guerra, uscendone provato fisicamente e psicologicamente e andava pertanto instradato a nuovi valori, in
particolare al valore del lavoro,  allontanato dalle stamberghe dove era stato costretto a vivere e “dove non vi è né freno morale né freno civile, ma la volontà del disordine per il disordine”.

Fu insegnato loro in primo luogo il valore dell’igiene e della pulizia e, prima di entrare nelle case stesse, gli assegnatari andavano accuratamente disinfestati. Venivano assegnati ruoli e compiti, dalla sfera lavorativa alla vita di comunità, con la costituzione di corsi di artigianato, classi di cucito e ritrovi infantili, in modo che tutto fosse integrato. Come misura contro la disoccupazione, venne anche indicato che gli assistiti, ove possibile, venissero assunti come operai dalle stesse imprese che diedero in concessione i lavori edili per l’UNRRA-CASAS. “Va procurato un lavoro a tutti coloro che possano svolgerlo poiché la disoccupazione non solo spinge l’individuo all’ozio e quindi al vizio e quindi al sovversivismo, ma, per la conseguente mancanza di poter provvedere con la propria opera al minimo indispensabile di vita, rende l’individuo stesso nemico della società”

I FORTUNATI – Nell’archivio fotografico di Eboli è possibile rinvenire il giorno dell’assegnazione delle casette “americane”, così chiamate ancora oggi a Eboli (oppure “case inglesi”), avvenuta il 4 luglio 1949 tra una folla esultante in una piazza addobbata a festa con grandi manifesti inneggianti all’Italia e all’America: essere assegnatario di un alloggio nelle “case americane” fu un sogno di molti ma una realtà per pochi. Solo 40 famiglie godettero di tale fortuna il 4 luglio 1949 il sogno si tramutò in realtà.

Ci fu l’allestimento di una cerimonia solenne a cui partecipano diverse autorità, tra cui l’arcivescovo di Salerno Demetrio Moscato, che benedisse le abitazioni prima dell’insediamento delle famiglie. Il momento venne celebrato da “tutto il paese” e non solo dagli assegnatari perché rappresentò un primo segno tangibile di una rinascita collettiva in un paese quasi del tutto distrutto. Come simbolo di questa “miracolosa” ricostruzione viene posta una nicchia sul muro di cinta che circonda le casette: nella nicchia è posta la “Madonnina della Rinascita”, ancora oggi presente a testimoniare che dalle ceneri della guerra erano rinate abitazioni costruite con materiali delle antiche case bombardate in tutto il paese.

A cura di Raffaele Ciaglia

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