Battipaglia e il lavoro sulle spine, la storia si ripete

Esiste un documentario Rai, datato 1958, che racconta una Battipaglia in piena rivoluzione industriale.

Un tabacchificio e uno zuccherificio che sostenevano circa 800 famiglie, molte delle quali scese giù dalle montagne per iniziare una nuova vita in città. Una città dove già lavoravano le donne.

C’erano “cinque o sei” industrie conserviere su tutto il territorio che vedevano impiegati quasi tremila dipendenti nei mesi più produttivi, da luglio ad ottobre.

Conserve di pomodori, frutta sciroppata e marmellata esportati in tutto il mondo. Quanto orgoglio nelle parole degli intervistati.

Undici anni dopo, nell’aprile del 1969, molti di quegli operai si riversavano sui binari dello snodo ferroviario più importante del Sud Italia, in protesta per l’annunciata chiusura di due aziende fondamentali in città: ci furono scontri tra forze dell’ordine e cittadini, atti vandalici, due morti. Il resto è storia.

La floridità commerciale/industriale di Battipaglia è stata protagonista indiscussa per molto tempo, nonostante fosse già nell’aria l’odore del fallimento della zona industriale. Quando è cominciata la crisi economica dell’ultimo decennio, le crepe di cui nessuno di preoccupava si sono estese con una tale velocità portando alla luce il grave dissesto economico e sociale in cui riversava la città, una volta vanto della Piana del Sele.

Alcatel-Lucent, Btp Tecno, Paif e Termopaif, FerGom. Ognuna di loro titolo di un capitolo di crisi del lavoro battipagliese. Ultima, in ordine cronologico, la Cooper Standard.

L’azienda statunitense, leader nella produzione di guarnizioni in gomma per veicoli, sta decidendo il futuro della sede battipagliese e dei suoi operai.
Nel 2016 si faceva notare per produttività e assunzioni in un periodo critico per il mondo del lavoro, in cui l’azienda stessa fu protagonista negli anni precedenti; un triennio di tensioni che vide la perdita di centotrenta posti di lavoro e lunghi presidi di protesta contro il trasferimento della produzione.
Si parla di costi di mantenimento quasi insostenibili a causa della diminuzione della richiesta da parte dei principali clienti. In difesa dei lavoratori sono scesi in campo i sindacati a chiedere l’intervento dell’amministrazione, soprattutto durante l’incontro con Confindustria.
Mentre quest’ultima scaricava all’attuale governo nazionale la responsabilità di risolvere l’annosa questione, si è fatta avanti la Sud Gomma di Oliveto Citra (appartenente anch’essa al gruppo statunitense) che sta vagliando l’ipotesi di accorpare l’azienda battipagliese solo in caso di aumento delle commesse. Nel frattempo, gli operai scioperano e le loro famiglie vivono attese snervanti.
Com’è possibile passare dall’avere una certezza economica al vivere sul filo del rasoio nel giro di due anni? Perché a Battipaglia si ripete sempre lo stesso scenario?
Da una parte ci sono i dirigenti e le alte cariche che parlano di costi, di deficit, di calo di produzione e, di conseguenza, di salvaguardia dal fallimento. Dall’altra ci sono gli operai
che fanno i conti con bollette, affitti, mutuo.
La chiusura di un’azienda crea un danno ad entrambe le parti. Eppure, il piatto della bilancia dei più deboli regge un peso maggiore della sua controparte.

 

Battipaglia, “vanto della Piana del Sele”, di cui oggi restano solo vecchie cartoline che parlano di nostalgia.

Jessica Moscato
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