L’assalto a Capitol Hill e la sottile linea del giudizio: di quale democrazia stiamo parlando?

Quando Joe Biden nel 2011, all’epoca Vicepresidente degli Stati Uniti, passò davanti casa mia, ad Eboli, per dirigersi a Santa Maria di Castellabate, io già mi ero fatto un’idea inconscia. Sbagliata per l’amor di Dio perché basata su un’impressione che riguardava la superpotenza americana, la quale si mostrava in tutti i suoi eccessi, e non sui fatti, ma si sa, il primo astio non si scorda mai. Lo spirito cartesiano però è messo a dura prova.

Da un lato Biden, l’uomo che aveva rappresentato per me sin da piccolo, più di ogni altro, il simulacro del potere americano (simulacro perché la superpotenza americana è a relativizzare con i disequilibri futuri che causerà) e il mondo dell’oscurantismo trumpiano, quello dell’appartenenza, del becero nazionalismo fin troppo razionale ma troppo poco ragionevole, del conservatorismo, del negazionismo, dell’ignoranza.

Allora preferisco prevenire il lettore: ciò che è successo a Capitol Hill (il Campidoglio, sede del Parlamento) il 6 gennaio scorso è anche una questione personale. Dei miei pensieri, dei miei giudizi. Ecco che allora l’analisi di ciò che penso può essere riciclata per esaminare ciò che è successo pochi giorni fa e che potrebbe costare ancora più caro a Donald Trump (l’impeachment per incitamento all’insurrezione proposto dai Dem).

Il mondo occidentale si è quindi polarizzato tra i sostenitori di Trump e quelli di Biden. Nessuno dei due sistemi di valore e delle due visioni politiche è spuria da critiche. Quelli dalla parte di Trump, che in Italia sono praticamente i sostenitori delle destre populiste, rappresentano forse la parte più innocua. Gli atteggiamenti vigorosi e le parole violente del Presidente uscente, un po’ Berlusconi un po’ Salvini, si sono rivelati fuffa: nessun muro, la guerra militare è divenuta perlopiù una guerra di dazi che l’equilibrio del mercato tende a cristallizzare.

Certo, l’ignoranza fa paura e va combattuta con ogni mezzo democratico. I fatti che hanno dilaniato l’Europa tutta nel secolo scorso dovrebbero farci riflettere. Ecco il ruolo della Storia per chi se lo chiedesse. Ciò che dovrebbe inquietare della politica di Trump è l’utilizzo di questa ignoranza da parte dei grandi capitali dell’industria americana, specie di quella degli armamenti. Ignoranza istituzionalizzata per fini economici.

I sostenitori di Biden di qua e di là dell’Atlantico gridano all’attacco al cuore della democrazia americana. Ecco, questo mi strappa un sorriso. Di quale democrazia si parla? Di quella delle bombe sul Vietnam? Quella della ricerca fantomatica dell’arsenale nucleare di Saddam? O ancora quella della Baia dei Porci a Cuba?

Non voglio però nemmeno cadere nell’altro estremo: gli Stati Uniti, quelli del primo Jefferson, avevano certamente un grande sistema di valori democratici, affievolitosi nel tempo a suon di bombe e di chiusure di mercati. Ecco, Biden rappresenta questa democrazia decadente ed esangue, che boccheggia sempre di più. Bisogna cessare di creare intorno agli USA quella mitopoietica di pace che non rappresentano.

Sono una democrazia? Forse, ni. La più grande democrazia? Sicuramente no, non ora.

I fans di Biden e di una certa sinistra, liberale, manageriale, sono quelli che puntano il dito, che si scandalizzano, quelli che giudicano e ridicolizzano. È questo atteggiamento del ridicolo che ha creato congenitamente il suo opposto: ridicolizzare l’ignoranza ha portato ad altra ignoranza (compresi i vari no-mask, no-vax ecc). I sostenitori del Vicepresidente di Obama (quest’ultimo Premio Nobel per la Pace mentre sganciava bombe in Siria), democratici e pacifisti, non si limitano a ridicolizzare usi e costumi del popolo di Trump, le sue credenze e supposizioni (c’è differenza tra critica e mettere in ridicolo) ma la forma della sua espressione: la protesta, sotto qualsiasi forma.

LA VIOLENZA E’ SEMPRE VIOLENZA – Togliamoci subito il dente doloroso, la violenza è da condannare e non c’è dubbio, ma questa, tolta qualche eccezione, ha sempre fatto parte della storia che noi veneriamo, la nostra, quella dei vincitori: nessuno si sognerebbe di criticare i rivoluzionari francesi del 1789 che massacravano gli aristocratici o le missioni di peace keeping dei nostri soldati all’estero. La violenza è lo strumento per riaffermare i nostri valori. La condanniamo solo se questa è violenza altrui o quella dei perdenti: la violenza nazista, quella spagnola contro gli indios, quella sovietica… sono condannate perché non appartengono (più) alla nostra sfera di valori, ma non la condanniamo in quanto tale.

La violenza, se condannata, va condannata sempre, che si tratti di un colpo di Stato, di affari internazionali… o il fine (il proprio) giustifica i mezzi?

Dopo questo breve excursus sulla violenza, possiamo trarre le nostre conclusioni. Semplici impressioni, come feci io dieci anni fa quando Biden passò con la sua scorta letteralmente infinita davanti casa. La guerra psicologica del giudizio e del ridicolo sarà la nostra condanna se non poniamo un rimedio serio ed efficace. Questa soluzione non può essere che il dialogo, anche con chi la pensa diametralmente all’opposto, anche se i suoi propositi ci sembrano banali.

Il solo ascolto, l’apertura verso l’altro potrebbe, da solo, fargli cambiare idea. Una critica avanzata dai sostenitori di Biden mi trova però d’accordo, perché costruttiva e ben ponderata: perché nonostante fosse chiara l’intenzione dei manifestanti non si è fatto nulla per evitarlo? Perché invece con i manifestanti del movimento Black Lives Matter il Parlamento e tutti gli USA erano militarizzati che nemmeno Kabul?

A quelli che strillano che la democrazia americana è morta con l’assalto a Capitol Hill dico che la democrazia non è né morta né nata quel giorno. È passata di fianco, indifferente. Non siete d’accordo? Parliamone.

Francesco Mirra

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