Referendum sul taglio dei parlamentari: le ragioni del SI e del NO a confronto

Sarà il primo appuntamento elettorale per gli italiani post lockdown e si svolgerà, in un election day poiché in concomitanza si terranno le elezioni amministrative in 1.178 comuni, le elezioni per il rinnovo di sette consigli regionali e dei rispettivi presidenti, e le elezioni suppletive al senato in due collegi della Sardegna e del Veneto.

Gli elettori che andranno alle urne per votare al referendum si troveranno davanti una scheda con il quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?’”.

Si dovrà barrare la casella del sì o quella del no. Questo referendum è di tipo confermativo, serve dunque a confermare (o respingere) una legge costituzionale votata dal parlamento, non serve alcun quorum né è richiesta la maggioranza dei votanti per la sua validità; vincerà la preferenza più votata.

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse Roma 03-03-2015
Politica Senato.

Per poter scegliere consapevolmente se confermare o respingere tale referendum, analizziamo di seguito, le ragioni del NO e quelle del SI.

  • Le ragioni del NO

Una delle ragioni principali dei sostenitori del no è che con il taglio dei seggi aumenterebbe il numero di abitanti per ogni parlamentare, facendo crescere di conseguenza la distanza tra la popolazione e i suoi rappresentanti, compromettendo in tal modo la rappresentatività.

Tra le altre ragioni dei sostenitori del no vi è poi quella secondo la quale meno parlamentari significa più potere dei leader dei partiti nel controllare i gruppi parlamentari, che saranno più piccoli, e quindi minore potrebbe essere la possibilità di un confronto.

Chi vota no al referendum sostiene inoltre, che un taglio lineare del solo numero dei parlamentari, non accompagnato da altre riforme costituzionali, prime tra tutte quella elettorale, non faccia altro che paralizzare l’attività del parlamento.

Ancora, il fronte del NO critica la riforma come demagogica e populista, e l’accusa di far leva sul sentimento di antipolitica diffuso tra i cittadini, in particolare sulla riduzione dei costi che comporterebbe il taglio dei parlamentari; una riduzione davvero irrisoria rispetto alla spesa pubblica: (285 milioni a legislatura o 57 milioni annui) e pari soltanto allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.

  • Le ragioni del SI

Tuttavia, i sostenitori della riforma costituzionale, Movimento 5 stelle in primis, fanno leva su una serie di ragioni che vanno dalla riduzione dei costi della politica, alla convinzione che un parlamento più snello, si traduca in una maggiore efficienza del suo funzionamento. E’ esperienza comune che le assemblee più piccole sono potenzialmente più efficienti: parlano meno persone, c’è meno esibizionismo e più lavoro concreto. Anche perché il grosso del procedimento legislativo avviene nelle commissioni parlamentari e una composizione di 30 deputati e 15 senatori, che risulterebbe dal taglio degli eletti, sembra più che sufficiente.

Nel dibattito sull’opportunità o meno di ridurre il numero dei parlamentari, entrambi gli
schieramenti hanno spesso fatto un confronto tra la situazione italiana e quella degli altri Paesi europei. I sostenitori della riforma, in particolare, sostengono che il taglio dei parlamentari riallineerebbe la dimensione del nostro Parlamento alla media europea. Se guardiamo al numero totale dei parlamentari in ognuno dei 27 Paesi dell’Unione europea l’Italia con 945 rappresentanti è il secondo Paese in classifica, dopo il Regno Unito che ne ha ben 1.441. Seguono la Francia (925), la Germania (778) e la Spagna (616). In seguito alla riforma l’Italia si posizionerebbe invece al quinto posto, dopo gli altri grandi Paesi europei.

Altro dato importante è che il Parlamento non ha più l’esclusiva nella produzione di norme: anche le regioni hanno potere legislativo così come è in crescita il rilievo normativo dell’Unione europea. L’attuale numero di deputati e senatori era basato sull’idea «che il parlamento fosse in sostanza esclusivo della produzione normativa vigente», ma visto che questo assetto «monopolistico» si è modificato, il taglio è una naturale conseguenza che porterà automaticamente a un sistema più funzionale.

Altri, in modo simile, sostengono che vada preso atto della crisi della democrazia rappresentativa e che dunque, invece di difendere le istituzioni così come sono, sia necessario rinnovarle. I comitati per il Sì fanno leva, inoltre, sul fatto che ridurre il numero degli eletti renda più trasparenti e comprensibili dibattiti e decisioni, senza intaccarne la qualità, grazie a un numero minore (e più controllabile) di rappresentanti. Non ci sarebbe dunque alcun rischio per la democrazia, il cui principale problema non sarebbe quello della scarsa rappresentatività, ma quello di una generale
inefficacia da un punto di vista di gestione.

La tappa della riduzione del numero dei parlamentari sarebbe poi solo un punto di partenza, non di arrivo: ma il primo e il più significativo per procedere successivamente con altre riforme necessarie a eliminare il malfunzionamento delle istituzioni.

In aggiunta Carlo Fusaro, già professore di diritto elettorale e parlamentare dell’Università degli studi di Firenze, e con un passato politico nel Partito repubblicano afferma: «È una riforma modesta, che si limita a fare quello che è stato proposto per 40 anni da quasi tutte le forze politiche. La riduzione dei parlamentari è infatti stata approvata per 13 volte dal Parlamento italiano, di cui quattro durante l’ultima legislatura e nell’ultima votazione c’è addirittura stato il voto unanime di tutte le forze parlamentari, tranne +Europa. Il referendum, a fronte di un consenso quasi plebiscitario tra i partiti, nel voler snellire il Parlamento, nemmeno si sarebbe dovuto tenere».

Giusy De Angelis

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