Storia di un prigioniero di guerra: Amedeo Rinaldi, il soldato meccanico sopravvissuto

Quando lessi il romanzo “Il Treno dell’Ultima Notte” di Dacia Maraini, mi trovai faccia a faccia con la mostruosità di cui è capace l’uomo.

Sui libri di storia, indubbiamente formativi, sono riportati i fatti e non la storia di ogni individuo. Sono queste storie, però, che meglio di ogni saggio storico o testo scolastico raccontano la lurida e sprezzante anatomia della guerra.

Io ho avuto l’onore di conoscere la storia di un uomo che, come moltissimi altri, merita un lungo paragrafo dedicato nella Storia. E con lui torniamo a rivivere la Seconda Guerra Mondiale.

Amedeo Rinaldi, il soldato meccanico

La storia di Amedeo Rinaldi comincia a Montecorvino Rovella, in una famiglia di affittuari agricoli con una lunga tradizione di lavoro nei campi. Con il padre mediatore, hanno prestato le loro mani per le grandi famiglie di proprietari terrieri, come i Fiorignano e gli Improsta, che hanno cominciato a mettere le radici nell’identità agricola che ha caratterizzato per anni il territorio della Piana del Sele, e la quasi prossima a diventare comune, Battipaglia.

Appena diciannovenne, nel 1942, Amedeo viene chiamato alle armi nel II Reggimento Artiglieria Contraerea, poi aggregato al Reggimento Contraerei di Napoli nel quale completa il corso di sottufficiale operaio, specializzato in automezzi. Da lì, viene assegnato presso il Deposito Misto truppe per l’Egeo in Barletta per il trasferimento ad Atene, per respingere le forze armate di Wehrmacht con gli alleati inglesi.

Scoppia ‘a bomba e l’aeroplano/
Scoppia ‘a nave into lu puorto/
Ma mannaggia a chivemmuort/
Chesta storia addà finire/

Canzone napoletana sul primo bombardamento a Napoli nel settembre del 1942 (testo ricavato dalle memorie di Amedeo Rinaldi)

Sotto il dominio di Tito in Jugoslavia, i trasferimenti in treno erano impossibili a causa dei continui attacchi alle linee ferroviarie, mentre, viaggiare in mare era ostacolato dai sottomarini americani e tedeschi che coprivano l’area tra la Sicilia e l’Africa.

Questi fattori dilungavano i viaggi anche di mesi e in condizioni davvero stremanti.

Quando Amedeo raggiunge Atene, viene imbarcato per il Pireo – era il 3 settembre del 1942 – raggiunge Rodi dopo due giorni. Da Rodi arriva, poi, nell’isola di Coo, nel 56° Reggimento Artiglieria di Posizione nel campo di aviazione strategico per coprire il Dodecaneso.

L’isola di Coo viene conquistata dai tedeschi. I soldati italiani vengono catturati, fucilati, frustati.. Solo i più robusti e quelli abili nei lavori di manutenzione si salvano, spediti nei campi di concentramento. Tra questi, il sottufficiale Amedeo Rinaldi. Qui comincia la sua prigionia durata quattro anni.

Con te, Lily Marleen […]/
Quanto nel fango debbo camminare/
Sotto il mio bottino mi sento vacillare/

Canzone tedesca ricavate dalle memorie di Amedeo Rinaldi

«Dovetti sotterrare il mio comandante! – ci racconta il signor Amedeo, oggi a 97 anni – Io mi salvai perché all’epoca tutte le auto avevano un magnete con le punte platinate che dava la corrente alle candele. A otto anni avevo iniziato ad armeggiare con i motori dei trattori americani che mio padre comprò per lavorare i campi, e diventai un maestro! – ci racconta orgoglioso – Questo mi salvò dalle fucilate, altrimenti, sarei morto come i miei compagni».

Trasferito nel campo di concentramento di Larissa, grazie ad un colpo di fortuna riesce ad ottenere un permesso – «“papier” lo chiamavano i tedeschi» – che gli permise di potersi muovere con libertà all’interno del campo.

«Un Maggiore tedesco, accompagnato dall’interprete italiano, ci chiese “Chi sa aggiustare il pozzo?”. Questo pozzo aveva un motorino che portava su l’acqua, così, alzai subito la mano e dissi “Io lo so aggiustare”, così ottenni il permesso di uscire ogni giorno a lavorare vicino a questo pozzo».

Durante le sue uscite, Amedeo stringe amicizia con un prigioniero, originario di Napoli, con il quale fa una scoperta: all’interno del campo c’è un edificio chiuso a chiave. Complici in curiosità e guardandosi le spalle a vicenda, dopo quattro giorni di svariati tentativi riescono ad aprire la porta e, all’interno dello stabile, trovano cibo e abiti puliti.

«Trovai un grosso pezzo di ferro e con quello mi tagliai un pezzo di parmigiano e lo mangiai».

Dopo essersi cambiati con vestiti puliti, recuperano delle vivande e le nascondono sotto la carcassa di un aereo italiano abbattuto.

«Nascosi, poi, la chiave sotto una pietra e, ogni giorno, a mezzogiorno, aspettavamo che i soldati si allontanassero per il pranzo. A quel punto, facendo la guardia a turno, entrava un gruppo di sette o otto persone che prendevano vestiti e cibo. Ho dato da mangiare a tutti».

Tra i prigionieri, un giorno Amedeo incontra un suo concittadino, Alberto Mellone di Battipaglia.

«Era tutto sporco, senza scarpe – commosso Amedeo continua la sua storia – Appena mi vide mi chiese “Ma non è che tu stai sotto i fascisti?”. Allora gli risposi: “Ma statt’ zitt’! Qual’ fascista!? Non me li nominare proprio”. Lo rivestii e gli diedi da mangiare. La notte stessa, alle 4 di mattina, mi chiamò e ci facemmo una promessa: Chi tornava prima a casa doveva avvisare la famiglia (dell’altro) che ci trovavamo lì (a Larissa). Lui tornò a casa prima di me. Era stato liberato dagli americani».

Dopo quattro anni di prigionia, giunsero i Russi a Larissa e liberarono i prigionieri.

Amedeo Rinaldi fu liberato, ma un altro viaggio lo attendeva.

I soldati russi avevano nei loro campi in Polonia diverse auto americane, mai messe in moto. Prima di liberare i prigionieri avevano bisogno di qualcuno che avesse conoscenze meccaniche dei motori americani.

«”Se ci vado io, le rimetto in moto”, dissi alla comandante russa che riusciva a capire l’italiano solo quando parlava con me. Così lei mi diede il permesso e mi promise che appena le avrei rimesse tutte in moto, mi avrebbero rimandato a casa».

Dopo un mese e mezzo in Polonia, la comandante russa mantenne la sua promessa e Amedeo poté tornare a casa, dopo altri due mesi di viaggio con la “tradotta”. Era il 1946.

Il Signor Amedeo Rinaldi ha ricevuto, per il suo impegno in guerra, la Medaglia all’onore Militare (1946), la Croce al Merito di Guerra (2013) e, nel 2017 fu insignito Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

Durante la cerimonia della nomina a Cavaliere, presso la Prefettura di Salerno, con l’orgoglio e la sincerità che contraddistinguono quest’uomo, legato al bagaglio della sua solida memoria, ringrazia e ricorda a tutti che “tutti gli italiani hanno subito la guerra, ma noi prigionieri di più”.

Jessica Moscato

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